Ciò che segue è un'elementare infarinatura di quella che è stata la storia del nostro territorio al tempo della sua conquista da parte dei Romani, tratta da scritti che abbiamo letto in passato. Probabilmente conterrà inesattezze o cose con cui qualcuno non sarà d'accordo, per cui precisiamo che lo pubblichiamo senza alcuna pretesa saggistica, col solo scopo che sia preso soltanto per quello che veramente è: una semplicissima relazione della quale siamo disponibilissimi ad accettare correzioni, critiche ed alternative, che possa rappresentare una stringata informazione per chi dell’argomento fosse a digiuno, oppure anche un punto di partenza per successivi approfondimenti per chi fosse invece più interessato.
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Un gelido mattino di Dicembre di una quindicina di anni fa, mentre me ne stavo sulla vetta del Borla ad osservare, da una parte, lo splendido panorama del Golfo di La Spezia e, in lontananza, delle montagne della Corsica, e dall’altra l’orrendo morso della cava che divorava il monte Sagro, mi affiancò una persona d’età piuttosto avanzata che, con passo silenzioso, era arrivata, accompagnata dal suo cane, fin dov’ero io, e dopo qualche minuto di silenzio, sincronizzato il suo sguardo con il mio: -“Eh sì, laggiù c’era il bellissimo “Portus Lunae” che tanto meravigliò il poeta Ennio,– disse indicando il Golfo della Spezia – là invece ci sono i resti di quella che fu Luni, fondata dai Romani, qualche tempo dopo che ebbero sconfitto e deportato tutta la popolazione locale, quelli che molti, erroneamente, ritengono i nostri avi, i Liguri Apuani, dopo che questi ultimi, per decenni, avevano opposto una tenacissima resistenza al loro strapotere e questo – continuò l’anziano signore, indicando il versante del Sagro squarciato dalla cava – è un esempio del risultato che la conquista dei Romani ha portato al nostro territorio… E’ iniziato tutto allora. Prima nessuno aveva toccato niente: i Romani furono i primi industriali del marmo…”
La zona Apuo-Versiliese costituiva la propaggine costiera più orientale abitata dalla popolazione dei Liguri, qui verosimilmente installatasi tra l’ultimo periodo dell’età del bronzo ed il primo periodo di quella del ferro: tale popolazione era quella dei Sengauni o Liguri Montani, ribattezzati successivamente Apuani, come li chiameremo noi d’ora in poi.
Erano essi una popolazione semplice e piuttosto rozza, barbara se rapportata a quelle dei vicini Etruschi e dei Romani stessi, dedita all’agricoltura ed alla pastorizia, ma che sapeva essere anche temibilmente guerriera, specialmente se alle prese con intrusi armati sul proprio territorio. D’altra parte tutto il popolo Ligure era notoriamente bellicoso, tanto che le guerre, per gran parte di esso, erano spesso occasione di lavoro; erano, insomma, dei mercenari a cui sovente ricorsero anche i Cartaginesi stessi.
Gli Apuani, come gran parte dei Liguri, prediligevano costruire i propri centri abitativi su montagne, o comunque, in luoghi elevati dove potevano difendersi meglio da eventuali aggressori erigendo fortificazioni sulle sommità più aspre, i cosidetti "Castellari". Soltanto i Genuati, che occupavano il territorio Genovese e gli Ingauni che occupavano quello di Albenga, possedevano una flotta di navi, che veniva usata più che altro a scopo militare, o, forse, con gergo più appropriato e specie nel caso degli Ingauni, a scopo piratesco[1].
Non essendo un popolo di navigatori, gli Apuani non avevano un vero e proprio porto ma, probabilmente un piccolo scalo sulla sponda destra del Fiume Magra, sotto l’abitato di Ameglia, presumibilmente dove, in epoca più tarda venne a trovarsi il Porto di San Maurizio.
Sappiamo però da Strabone dell’esistenza di un grande porto da quelle parti, detto “Portus Lunae”. Lo storico geografo lo descrive come “grandissimo e bellissimo, che abbraccia in sé molti porti di mirabile profondità, cinto da alti monti dai quali è possibile vedere la Sardegna (che poi, in verità, sarebbe stata la Corsica)”. Il ritratto sembrerebbe proprio coincidere con quello del Golfo di La Spezia, un porto naturale nelle cui tantissime cale si poteva agevolmente attraccare, e già allora probabilmente in mano ai Romani oppure alla flotta dei loro alleati Genuati.
Strabone visse in epoca successiva alla fondazione di Luni, ma il porto da lui descritto non parrebbe affatto corrispondere al piccolo porto di quella colonia romana. D'altra parte un porto avente le stesse caratteristiche e lo stesso nome era già stato magnificato anche dal poeta Ennio, probabilmente intorno al 204 a.c., quindi abbondantemente prima del 177a.c., data in cui i Romani fondarono la colonia di Luni: “-…Bisogna conoscere il Portus Lunae, o Romani…”, ed usato (195 a.c.) da Marco Porcio Catone quale base di partenza per la sua spedizione in Spagna.
A tale proposito, ha generato diverse discussioni il fatto che Catone, dopo aver raggiunto il Portus Lunae via nave, aspettò che vi giungesse il proprio esercito via terra. Ciò fece pensare a molti che esistesse già da allora una via che collegasse Pisa, dove arrivava l’Aurelia, alla zona del Magra attraversando le malariche paludi delle Fossae Papirianae. Noi, anziché affidarci all’esistenza di una mai citata Via Aurelia Nova, preferiamo pensare che, a quel tempo, il Portus Lunae fosse raggiungibile via terra soltanto aggirando da nord le Apuane, usando l’attuale direttrice Pisa-Lucca-Valle del Serchio-Valle dell’Aulella-Luni, vale a dire quel percorso che sarebbe stato in seguito chiamata Via Clodia Secunda o Clodia Nova (notizie della quale diamo in altra relazione), in quel periodo già esistente da secoli, e che servì poi ad unire la Colonia Romana di Luni a Lucca. La via costiera, che ricalcò l’attuale Sarzanese e l’attuale Aurelia, fu infatti fatta costruire al console Emilio Scauro (figlio) da Giulio Cesare soltanto nel 56 a.c in occasione del bellum gallicum.
I RAPPORTI COMMERCIALI CON GLI ETRUSCHI
Gli Apuani, se mal sopportavano gente armata nei propri territori, sembra che fossero invece molto più tolleranti con chi intendeva intrattenere con loro degli scambi commerciali, come dimostrano i loro rapporti con la gente Etrusca.
La loro zona sappiamo che si estendeva dalla costa fino all’Appennino tosco emiliano spingendosi, coll’andare del tempo, fino ad avere come limite meridionale il fiume Arno. Ciò comportò, forzatamente, la convivenza con gli Etruschi, che d’altra parte avevano già abitato precedentemente la zona Apuo-Versiliese provvedendo anche ad estendere i propri commerci verso nord, nella pianura padana.
Questi contatti commerciali sono ampiamente dimostrati dai ritrovamenti tombali in varie parti della zona Apuo-Versiliese (Massarosa, Querceta, la necropoli andata poi dispersa del Beccatoio a Pietrasanta ecc.). Nei corredi contenuti dentro le cassette litiche dove venivano poste le ceneri degli Apuani, insieme alla panoplia[2], generalmente di origine celtica, si mescolava spesso vasellame di origina etrusca, risalente, in alcuni casi, al IX-VIII secolo a.c., vale a dire ancor prima che venisse fondata Roma.
L’ipotesi degli scambi commerciali tra le due popolazioni è confermata inoltre dai ritrovamenti di San Rocchino sul Lago di Massaciuccoli anch’essi risalenti a quel periodo, dai quali si è potuto chiaramente dedurre l’esistenza di un importante scalo commerciale Etrusco in territorio normalmente frequentato dai Liguri Apuani, mentre più nell'entroterra, i rinvenimenti in Garfagnana, ultimo dei quali quelli dell’abitato di Piari presso Vagli di Sotto, con tanto di forno di cottura per il vasellame e risalenti al VII/VI secolo a.c, testimoniano come e quanto, già da allora, si spingessero i commerci etruschi verso i passi appenninici garfagnini e la Val Padana.
E' lecito dunque supporre che la Lunigiana, la Versilia e la Garfagnana non furono, in quel periodo, soltanto terreno molto pericoloso ed ostico per genti in armi che osassero addentrarvisi, ma anche zone commercialmente franche ed aperte, atte a favorire scambi tra popolazioni diverse.
A conferma, lo storico Tito Livio, riferendosi a tali zone, riportò che “…Etruscorum ante quam Ligurum fuerat” (era stata degli Etruschi ancor prima che dei Liguri) e lo Pseudo-Scilace[3] riporta che “…dopo Antion (identificata poi con Ameglia) abita la gente dei Tirreni (Etruschi) fino alla città di Roma” nello stesso periodo in cui sappiamo per certo che i Liguri Apuani si spingevano già almeno fino nel cuore della Garfagnana, come dimostra il ritrovamento della necropoli di Villa Collemandina.
La situazione politico/economica della zona Apuana iniziò a mutare a cavallo tra il IV ed il III secolo a.c., quando i Galli (o Celti che dir si voglia) che avevano invaso la Pianura Padana, dando origine alla Gallia Cisalpina, interruppero gli scambi commerciali e cominciarono ad infiltrarsi anche oltre Appennino. I Liguri Apuani presero immediatamente contromisure erigendo una moltitudine di castellari nei punti più strategici, sulle montagne della Lunigiana, della Garfagnana e su quelle a sud del fiume Magra, il più meridionale dei quali sarà nell’attuale zona di Levigliani come attestato dai reperti funebri della necropoli ivi portati alla luce nella metà del XIX secolo.
Nello stesso periodo iniziò il declino degli Etruschi, che, scacciati dalla Pianura Padana dai Celti, dovevano pure vedersela a sud con la già ventilata politica espansionistica dei Romani, a cui ancor per poco essi resistettero, per cui il popolo Apuano, essendosi difensivamente cautelato per tempo, oltre a mantenere il controllo dei passi appenninici più importanti della Lunigiana e della Garfagnana, si ritrovò padrone di tutta la fascia costiera, arrivando successivamente persino a minacciare la "romana" Pisa, come riportato da Polibio (II,16,I).
I LIGURI TRA LE DUE GUERRE PUNICHE
Nel periodo centrale del III secolo a.c., Roma, tra l'altro, aveva trovato pure il tempo di combattere e sconfiggere Cartagine nella Prima Guerra Punica (264-241 a.c.), fatto che le portò subito in dote la sua prima provincia, la Sicilia. Tre anni dopo, con gli africani economicamente rovinati e logorati dall’ulteriore guerra che avevano dovuto sostenere per domare la ribellione dei propri mercenari[4] i cui stipendi non erano riusciti a pagare, i Romani minacciarono una nuova azione bellica se non fosse stato loro ceduto il controllo della Sardegna e della Corsica, che divennero così anch'esse loro province. Erano queste però territori alquanto turbolenti, nei quali l’influsso e la presenza Cartaginese erano ancora molto vivi, per cui Roma dovette dedicar loro diversi interventi, aventi lo scopo di reprimere focolai di rivolta dei punici ancora lì residenti e dei loro simpatizzanti, oltre a quelli occorrenti per debellare le azioni piratesche degli Ingauni. Nel continente invece, Roma dedicò le proprie attenzioni militari agli Apuani, ufficialmente per le scorrerie che questi avrebbero portato nell’agro pisano.
Il territorio Apuano infatti cominciava a diventare di importanza strategica vitale, soprattutto per cacciare i Galli cisalpini dall’area Padana e per procedere con quella politica espansionistica che avrebbe consentito la conquista delle Alpi, un eccezionale dispositivo difensivo naturale per i Romani. Inoltre l’asse marittimo Pisa-Portus Lunae-Genova-Marsiglia, associato alla conquista della Sicilia, ed al controllo della Sardegna e della Corsica, acquisiti sconfiggendo Cartagine, avrebbe garantito il dominio del Mediterraneo e un eccellente trampolino di lancio verso ulteriori spedizioni alla conquista della Gallia e dell’Iberia: bisognava quindi cominciare a pensare seriamente a come liberarsi della scomoda presenza degli Apuani.
Era il 238 a.c., e l’intervento di Roma, consistette nell’invio del console Publio Cornelio Lentulo, che riuscì a sconfiggere i Liguri solo due anni dopo, e quello successivo di Quinto Fabio Massimo che li vinse invece nel 233 a.c.. Questa prima spedizione Romana venne ritenuta compiuta nel 230 a.c., anche se gli Apuani restavano sempre lì, ben vivi e vegeti.
A questo punto, a conferma delle intenzioni di espansionismo precedentemente citate, i Romani lasciarono momentaneamente perdere le azioni militari contro gli Apuani per dedicarsi ad un’intensa opera diplomatica, allacciando rapporti commerciali ed alleanze con i Cenomani ed i Veneti, che occupavano le pianure centro-orientali del nord, avendo già dalla loro parte i Taurini ed i Genuati (come sarà poi dimostrato dal loro schieramento al momento della seconda guerra punica) che occupavano la zona occidentale. Era ben evidente lo scopo di spezzare i collegamenti tra i Galli cisalpini e le altre popolazioni transalpine loro alleate; a tale opera diplomatica, che si concluse nel 225 a.c., cercarono di opporsi i Boi, ma soltanto quando essa fu praticamente conclusa.
Tutto quello che successe nel periodo tra il 238 a.c. e il 225 a.c. determinò gli schieramenti delle varie popolazioni Liguri nella successiva Seconda Guerra Punica, che si svolse dal 218 a.c. al 202 a.c.: tranne i Commoni Marsigliesi, i precedentemente citati Genuati e Taurini e forse i Tigulli, tutte le rimanenti genti Liguri erano apertamente ostili ai Romani e appoggiavano quasi sempre chiunque li combattesse, figuriamoci poi se il nemico in questione era Cartagine, potenza dotata di un esercito quasi esclusivamente mercenario e quindi un ottimo datore di lavoro, al servizio del quale, già fin dalla Guerre Greco-Puniche, i Liguri avevano messo a disposizione le proprie orde.
L’episodio di maggiore importanza della Seconda Guerra Punica riguardante i Liguri fu senz’altro la conquista e la distruzione di Genua (Genova) da parte di Magone, fratello di Annibale, per ingraziarsi i favori delle altre popolazioni Liguri nemiche dei Genuati e quelle dei Celti e al fine di ottenere la loro alleanza e fare scoppiare una rivolta generale contro Roma. Gli Ingauni accettarono di stipulare il patto ma posero delle condizioni, tra le quali quella di sottomettere i rivali Epanteri, ragione per la quale, nel tentativo di accontentarli, Magone perse troppo tempo, dando modo ai Romani di prendere le opportune contromisure. Il fratello di Annibale riuscì ad assoldare un buon numero di mercenari tra i Galli ed i Liguri, ma non riuscì nel suo piano di creare una sollevazione generale delle genti del nord: sconfitto nel 203 a.c. in territorio Insubre fu costretto a rientrare in patria morendo durante il tragitto. Nello stesso anno Genua, per merito di Spurio Lucrezio, come l'Araba Fenice, risorgeva dalle proprie ceneri più forte di prima.
Ancora una volta vittoriosi a spese di Cartagine e annessa anche la costa meridionale dell’Iberia, adesso i Romani potevano dare inizio, indisturbati se non dai Liguri e dagli Apuani in particolare, alle loro spedizioni verso l’occidente e, come già precedentemente accennato, nel 195 a.c. Catone con il suo esercito, partiva dal Portus Lunae.
LA DISFATTA ROMANA DEL "SALTUS MARCIUS" E LA FINE DEI LIGURI APUANI
Infatti, tornando alla zona Apuana, dopo la seconda guerra Punica, i Romani avevano il controllo di Pisa e della fascia costiera ligure e apuo-versiliese. Gli Apuani vivevano asserragliati sulle montagne cercando di organizzarsi per difendersi dall’occupazione Romana e meditando una controffensiva per riprendersi quella zona costiera che già era stata loro.
Indomiti, nel 193 a.c. un paio di decine di migliaia di essi invasero le campagne a sud del fiume Magra, altri 10.000 misero a ferro e fuoco il Piacentino e oltre 40.000 si accamparono nei dintorni di Pisa che venne salvata dall’intervento di Quinto Minucio Termo, arrivato appositamente da Arezzo, il quale però non osò affrontare in campo aperto gli Apuani che poterono così proseguire nella loro opera di saccheggio dei territori dell’agro pisano.
Il console romano fu addirittura salvato dalla cavalleria numida dopo che era caduto in un agguato e soltanto nell’anno seguente riuscì a debellare, dopo una battaglia in campo aperto, gli irriducibili Apuani, i quali peraltro, impegnarono duramente lo stesso console anche nel 191 a.c., tanto che, in quell’occasione, pochi credettero ad una sua reale vittoria, visto che a Roma gli fu negato il trionfo. Tra questi vi fu anche Marco Porcio Catone che in senato attaccò duramente Quinto Minucio Termo accusandolo di simulazione di vittorie e falsificazione degli eventi, motivo per il quale Minucio fu costretto a lasciare l'Urbe.
In ogni modo anche se Pisa era rimasta romana, la fascia costiera Apuo-Versiliese ed il Portus Lunae erano tornati nelle mani degli Apuani che spesso effettuavano scorribande spingendosi fino al fiume Arno. I rischi che si correvano erano troppo alti perché Roma non prendesse seri provvedimenti, e così, dopo che nel 188 a.c. fu inviato nella zona in questione il console Marco Valerio Messalla, che però non riuscì a cavare un ragno dal buco, nel 187 a.c., furono inviati due consoli, Caio Flaminio e Marco Emilio Lepido, lo stesso che di lì a poco avrebbe dato inizio a Bologna alla costruzione della Via Aemilia. Il primo se la vide dapprima con i Friniati, alleati degli Apuani, in territorio emiliano e poi con gli stessi Apuani nel pisano sconfiggendoli, mentre il secondo si occupò di ripulire con incendi e saccheggi i villaggi degli Apuani della valle del Serchio, costringendoli a ritirarsi sul Suismontium (forse l’attuale Pietra di Bismantova) per poi sconfiggerli in campo aperto.
Ancora una volta, mascherata inizialmente da operazione per il ripristino dell’ordine pubblico, quanto successe dal quel momento in poi, all’ombra delle Apuane, sarà l’inizio di una guerra bella e buona che aveva per scopo finale quello di liberarsi di una realtà locale troppo scomoda e pericolosa: i Liguri Apuani.
Liguri Apuani che intanto avevano provveduto a rafforzare l’alleanza con i vicini Friniati ed i risultati si videro subito, nel 186 a.c., quando il console Quinto Marcio Filippo, alla testa di un ragguardevole esercito, prese l’insana decisione di andare a stanarli a casa propria. Tito Livio la descrive come la più terribile disfatta dei Romani nella loro guerra contro i Liguri: gli Apuani, secondo molti storici, attirarono i Romani in un impervio canalone che da allora fu battezzato col nome di Saltus Marcius, dove i cavalieri maledirono i propri cavalli, dove le lunghe lance dei fanti rimanevano impigliate nella boscaglia, dove le pesanti corazze impedivano la necessaria agilità, dove erano presenti anfratti e nascondigli noti soltanto al nemico. I Romani arrivarono a spogliarsi ed a gettare le armi soltanto per poter fuggire meglio: “…prius sequendi Ligures finem quam fugae Romani fecerunt” (smisero prima i Liguri di inseguire che i Romani di fuggire), racconta malcelando un pizzico di vergogna lo storico Romano.
Dove si trovi il Saltus Marcius purtroppo, al momento, non è dato sapere e sull’argomento sono state fatte una miriade di ipotesi: chi vorrebbe identificarlo presso il Passo dei Carpinelli, chi dalle parti dell’attuale Marciaso, chi vicino a Bagnone, chi nello Zerasco in Lunigiana, chi nel Canale del Marzo che dal Monte Caprione scende al Piano del Marzo (o Marzio), in località Senato, lungo la strada che attualmente collega Ameglia a Romito Magra, forse con qualche supposta ragione in più di quella del toponimo, visto che esso si trova presso uno dei castellari Apuani più importanti cioè Ameglia, sede pure di necropoli, e a pochissima distanza dal Portus Lunae.
Infine Lorenzo Marcuccetti, come spiega nel suo libro “SALTUS MARCIUS”, dopo diversi anni di studi e di ricerche, li esclude tutti, individuandolo nel toponimo versiliese Colle Marcio, una cresta boscosa che scende dal Monte Alto fino a sbarrare il Vezza nei pressi di Pontestazzemese.
Non essendo assolutamente in grado di giudicare tali ipotesi e tantomeno di formularne di diverse, noi lasciamo agli esperti tale incombenza, e attendiamo, nella speranza che prima o poi vengano alla luce quegli elementi che servano ad attestare la veridicità di una di esse oppure anche a smentirle tutte, ma con certezza, senza che possa sorgere il minimo sospetto di una qualsiasi influenza campanilistica od altro.
In ogni caso, la vittoria del Saltus Marcius ridiede nuova linfa agli Apuani che ripresero di buona lena le loro incursioni lungo il litorale versiliese, per limitare le quali Roma inviò il console di turno Marco Sempronio Tuditano che, nel 185 a.c., li costrinse a rientrare sulle montagne, ridando a Roma il controllo della fascia costiera da Pisa al Portus Lunae. Ma, anche in questo caso, la presunta vittoria non convinse per nulla il Senato, visto che negò il trionfo anche a quest’ultimo console.
Iniziò così un lustro in cui praticamente non successe nulla, o meglio, gli Apuani continuarono con le loro incursioni ed i Romani li ricacciavano sui monti. Si trattava verosimilmente di scaramucce con le quali uno dei contendenti cercava di attirare l’altro nelle gole montane dove avrebbe potuto tendere le sue imboscate, mentre l’altro lo inseguiva fin quando il terreno non diventava pericoloso proprio per non incorrere in quei probabilissimi agguati.
Ma questa situazione di stallo e di continua guerriglia senza risultati concreti era inaccettabile per il Senato Romano, che, per attuare i propri disegni espansionistici aveva bisogna di territori dove potesse agire in tutta tranquillità, per cui fu presa la decisione di saldare il conto una volta per tutte.
Approffittando sembra di una tregua e anticipando una spedizione che gli Apuani si attendevano soltanto con l’arrivo dei due consoli in carica, i due proconsoli Publio Cornelio Cetego e Marco Bebio Tanfilo presero di sorpresa i Liguri che dovettero arrendersi. Era il 180 a.c. e i guerrieri fatti prigionieri furono 12.000, ma la cosa non finì lì perché si rastrellarono anche nuclei familiari completi fino a raggiungere il numero di 40.000 individui tra uomini , donne e bambini, che, raccattate le loro poche cose furono deportati nel Sannio. Successivamente fu facile per i nuovi consoli procedere ad un secondo rastrellamento che fruttò altri 7.000 Apuani sfuggiti al primo, i quali seguirono la sfortunata sorte dei predecessori. I pochi scampati, rifugiatisi nei luoghi più impervi, si mescolarono in seguito alle genti con cui i Romani ripopolarono la zona, perdendo nel tempo la propria identità, anche se rari rigurgiti di ribellione si ebbero nei decenni successivi, probabilmente da parte di Apuani di confine che si erano rifugiati presso i vicini Friniati o presso i Magelli, come starebbe a testimoniare una stele in marmo, datata 155 a.c. e rinvenuta durante gli scavi archeologici nella zona di Luni, dedicata al console romano M. Claudio Marcello per una sua vittoria su quel che era rimasto dei Liguri Apuani e sui loro alleati. Più di questo la storia non ci insegna visto che le notizie a proposito sono veramente scarse. Rimane il mistero dell’improvvisa resa in massa di una popolazione che, da oltre mezzo secolo prima fino a quel momento, si era dimostrata irriducibile, giustificata storicamente col solo attacco a sorpresa: un po’ poco in effetti per non suscitare perplessità.
La deportazione è invece giustificabile con la volontà dei Romani di convertire l’intera zona apuana in zona agricola e pastorizia, abitata soltanto da genti a loro amiche e fedeli, in modo da costituire anche un territorio che fungesse da cuscinetto contro eventuali discese di popolazioni avverse dalla Val Padana. In tutti i casi la costa apuana poteva adesso unirsi a quella Ligure, almeno fino a Genova e le successive vittorie romane contro le popolazioni della riviera di ponente diedero modo a Roma di avere quel trampolino precedentemente citato, costituito dall’asse Pisa - Portus Lunae – Genua – Massalia (Marsiglia) per il lancio delle proprie spedizioni in Iberia, la cui costa meridionale, era già stata strappata ai Cartaginesi con la Seconda Guerra Punica.
Nel 177 a.c., alla foce del Fiume Magra, sulla sua sinistra orografica, fu fondata la colonia di Luni (Luna) dotata di un proprio porto, che divenne poi importantissimo con lo sfruttamento (oggi incredibilmente ribattezzato "coltivazione") delle cave di marmo apuane da parte dei Romani.
Gli Apuani deportati nel Sannio, e denominati Ligures Baebiani e Corneliani, dal nome dei proconsoli che li avevano sconfitti e deportati, in un primo tempo formarono un gruppo etnico indipendente, poi si mescolarono alle genti locali.
Qui, tra la metà del II secolo a.c. e la sua fine, termina così la loro storia.
CONCLUSIONE
“…i Romani furono i primi industriali del marmo – terminò quell’anziano signore che mi piace pensare sia stato un Professore di scuola - e per che cosa poi? Oltre all’immenso danno ambientale, siamo rimasti la provincia più povera della Toscana, pochi ricchi si sono ancor più arricchiti e troppi poveri hanno perso la vita per farli arricchire…questa è stata la terra degli Apuani , ora è la terra dove noi siamo nati e anche se, come ho già detto, geneticamente non abbiamo niente a che vedere con quella gente, come loro, questa terra la stiamo perdendo…”
Sono passati oltre tre lustri da quella gelida mattina di Dicembre. Riguardo amareggiato oggi dalla vetta del Borla quanto si è allargato da allora il candido morso nel fianco del Sagro…: - già, caro Professore... questa terra la stiamo perdendo, come darle torto? -.
[gv-24 nov 2013]
vedi immagini ed eventuali altri elementi multimediali relativi alla presente scheda.
Bibliografia:
“I LIGURI – Etnogenesi di un popolo”, Renato DEL PONTE , 1999, ECIG, Genova.
“SANNITI, LIGURI E ROMANI”, John PATTERSON, 1988, Edizioni Comune di Circello.
“SALTUS MARCIUS”, Lorenzo MARCUCCETTI, 2008-Petrart Edizioni, Pietrasanta (LU)
Le immagini dei reperti archeologici sopra pubblicate sono proprietà della SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DELLA LIGURIA - Museo Civico Archeologico “Ubaldo Formentini”, Castello di San Giorgio, via XXVII Marzo, La Spezia, e sono distribuite con licenza Cretive Commons .
note
1 In effetti, questo fu uno dei pretesti che accamparono i Romani per giustificare i loro interventi repressivi in Sardegna ed in Corsica, successivamente alla fine della Prima Guerra Punica (236-231 a.c.), e i loro alleati Marsigliesi, i Liguri Commoni, come riportato da T.Livio (Liv.XL,17,6) si lamentavano di attacchi con“navibus praedatoriis” ancora nel 181 a.c.
2 La panoplia è l’insieme delle armi, utile ad identificare lo “status” del guerriero. Lance, spade, pugnali,elmi ecc. venivano spezzati,piegati o spuntati e resi completamente inutilizzabili: dovevano morire insieme al suo possessore.
3 Con “Pseudo-Scilace” si intende identificare colui che aggiornò, in tempi successivi, le opere di Scilace di Carianda (VI-V secolo a.c.), antico navigatore, geografo e cartografo greco.
4 Ricordiamo che l’esercito Cartaginese era pressoché interamente composto da mercenari.