(f.f.) l’elleboro costituisce una fioritura precocissima nei boschi ancora immersi nel riposo invernale. L’escursionista frettoloso, comunque, potrebbe non cogliere pienamente la varietà di forme che questa umile pianta presenta anche nel nostro territorio. Però bisogna essere molto esperti per orientarsi tra le specie e le sottospecie delle piante di questo genere e anche gli studiosi sono in disaccordo nella classificazione.
IL GENERE HELLEBORUS
Il genere Helleborus, comunemente elleboro, appartiene alla famiglia delle Ranuncolaceae e comprende una trentina di piante erbacee perenni. Il genere è originario dell’Europa e del Caucaso, ma esistono anche specie asiatiche. I Balcani sono particolarmente ricchi di specie diverse di ellebori.
In Italia sono spontanee una decina di specie alcune delle quali possono ibridare tra loro. Sono sicuramente presenti: Helleborus bocconei, Helleborus foetidus, Helleborus lividus, Helleborus niger, Helleborus viridis e, probabilmente, Helleborus odorus.
Alcune di queste piante hanno radici rizomatose, la fioritura è sempre precoce: invernale o all’inizio della primavera. Molte, inoltre, sono velenose. I fiori sono formati da 5 sepali con colori diversi ed aspetto petaloide, non cadono come fanno i petali e contribuiscono allo sviluppo dei semi.
Le piante del genere Helleborus sono conosciute, sin dall’antichità, per le loro proprietà medicinali: il rizoma è purgativo e vermifugo, ma l’uso è sconsigliato perchè i principi attivi (tra cui l’elleborina che è un narcotico) sono tossici anche a dosi basse e possono essere mortali. Infatti il decotto di elleboro pare fosse usato come veleno.
La pianta era usata nella cura delle malattie mentali ed in particolare contro l’epilessia: tanto è vero che per i romani (h)ellĕbŏrōsus significava: “bisognoso di elleboro” quindi pazzo, mentre per i greci esisteva il verbo έλλέβορίζω (= curare con l’elleboro).
Fino a non molto tempo, nelle campagne, fa l’elleboro era usato per curare le malattie degli animali e per tenere lontano il malocchio dalle stalle e dai porcili, per ottenere questo risultato si appendeva la pianta all’ingresso della stalla.
Tra i molti miti che riguardano l’elleboro ricordiamo quello del medico e indovino greco Melampo (Μελάμπους= che ha i piedi neri) che guarì dalla follia le tre figlie di Preto, re di Argo, che credendosi trasformate in vacche erravano per il Peloponneso. Ottenne questo risultato mescolando l’elleboro all’acqua della fonte dove le giovani erano solite bere.
Lo storico greco Pausania racconta che, mentre i Cirresi assediavano Atene, Solone fece gettare dell’elleboro nel fiume dove gli assedianti bevevano. In questo modo i Cirresi, colpiti da dissenteria, furono costretti a ritirarsi.
Alcune specie sono coltivate come piante decorative, di preferenze le varietà colorate. In particolare l’Helleborus niger è conosciuto come Rosa di Natale[1] poiché i suoi fiori bianchi con le antere dorate sbocciano in inverno prima del solstizio invernale e quindi sono associati alle festività natalizie[2].
HELLEBORUS VIRIDIS
Helleborus viridis L.
Classificato da Linneo dal 1753
Conosciuto volgarmente come: elleboro verde, elleboro falso, erba nocca.
Sono usati in botanica anche altri nomi a testimoniare le incertezze nella classificazione.
Il nome generico deriva dalle parole greche: έλλός (= cerbiatto ) e dalla radice βορ del verbo βιβρώσκω (= mangiare) ad indicare che era un’erba mangiata dai cervi[3].
In realtà per il Tommaseo ellèboro deriva dal latino (h)ellĕbŏrum (neutro) o anche (h)ellĕbŏrus (maschile) [dal greco έλλέβορος] ed egli ritiene che questa parola greca fosse di probabile derivazione forestiera[4] ed aggiunge: “ma che taluno scompone nel greco élo [= έλό ] futuro inusit. [inusitato cioè poco usato] di airèo [= αίρέω ] toglier via, uccidere e boròs [= βορός] ghiotto, edace, che mangia”. Quindi “che mangia ciò che uccide” o “che uccide chi mangia”.
L’aggettivo latino (h)ellĕbŏrōsus significa “bisognoso di elleboro” quindi pazzo.
Il nome specifico è il latino: vǐrǐdis (= di color verde) in riferimento al colore del fiore.
Così riporta il botanico apuano Pietro Pellegrini[5]:
41. – Helleborus viridis – L. [Helleborus viridis L.][6]
(luoghi in cui è stata osservata:) Nella valle del Lucido nelle selve sopra lo Stabilimento dei Bagni di Equi e al Solco, a Monzone e ad Àiola, tra Fivizzano e Verrucola, tra Bola e Giovagallo di Tresana, a Mulazzo nel piano di Talavorno e a Teglia, tra Aulla e Podenzana.
Fiorisce da gennaio a aprile. Pianta erbacea perenne.
42 – Helleborus viridis – L. γ – odorus (W. et K.) [Helleborus odorus Waldst. et Kit. Subsp. laxus (Host) Merxm et Podl.]
(luoghi in cui è stata osservata:) Uliveti di collina tra Montignoso e Porta e al Castello, nel Massese alle Grazie, alla Rocca, al Colletto, a Pò, nel fosso della Colombera e a Bergiola nel M. Brugiana, negli uliveti tra il Mirteto e la Foce di Carrara, tra Canevara a Altagnana, lungo il canale di Codupino, in territorio di Carrara tra Codena e Bedizzano, a Miseglia, e tra Gragnana e Castelpoggio, in regioni Romito e Perla, a Fossone e lungo il torrente Parmignola.
Fiorisce da gennaio a aprile. Pianta erbacea perenne.
43 – Helleborus foetidus – L. [Helleborus foetidus L.]
(luoghi in cui è stata osservata:) Massa al Castello, al M. Brugiana, alle Sorgenti del Frigido (Ross.), tra Volpigliano e S. Carlo di Pò, in vari luoghi tra S.Lucia e Gronda. Tra Carrara e Colonnata (Ross.), tra Codena e Bergiola Foscalina e lungo il canale della Foce. Al Castello di Montignoso (Ross.) e lungo il canale tra la loc. Capanne e Corsanico, a Cerreto e a Canal Magro. Comune in luoghi boschivi risalendo la strada fra Gragnana e Castelpoggio, sui poggi erbosi del tratto di ferrovia fra Terrarossa e Villafranca, in più punti del Bagnonese, nella valle del Taverone, tra Monti e Licciana, a Bastia e a Comano, nella valle del Lucido a Equi, a Pian di Molino, e Monzone, in varie località del comune di Aulla e di Podenzana, a Tresana, nelle diverse frazioni di Mulazzo, di Zeri e di Pontremoli fino alla Cisa.
Fiorisce da gennaio a aprile. Pianta erbacea perenne.
Questa pianta contiene glucosidi molto tossici con effetti collaterali che vanno dal vomito, alla diarrea fino ad arresto cardiaco e danni neurologici. Quindi è una pianta molto velenosa che alcuni dicono usata dalle streghe nei loro riti satanici. Molte poi le credenze come quella che l’elleboro mantenesse giovani e facesse ringiovanire i vecchi.
In Toscana l’helleborus viridis, detto erba nocca[7], era usato per predire la qualità dei raccolti, se presentava quattro ciuffi di stami il raccolto sarebbe stato abbondante, con tre ciuffi mediocre e con due molto cattivo.
Incertezze nella classificazione
Come premesso la classificazione delle specie di Helleborus non è semplice e questo, naturalmente, vale anche per quelle presenti nel nostro territorio.
Sicuramente Helleborus foetidus, a cui dedichiamo la seconda scheda di questo articolo, è presente sulla Apuane ed è ben distinto e distinguibile dagli altri ellebori.
Helleborus odorus si distingue per avere fiori più grandi e odorosi e pare presente, in Italia, solo nel Friuli. Questo va contro la classificazione di Pellegrini e le considerazioni degli autorevoli botanici che ho riportato sopra e su cui non mi pronuncio.
L’Helleborus bocconei[8] Ten., presente in Toscana, è molto simile al viridis. Ha le foglie con segmenti più profondamente divisi e dentellatura più marcata e irregolare e le foglie radicali sono talvolta svernanti. È considerato endemismo italiano e sicuramente in alcune regioni italiane, come in Toscana, convive con il viridis con il quale forma ibridi. Dall’altra parte l’Helleborus viridis forma ibridi anche con l’odorus.
Esistono diverse sottospecie di Helleborus viridis delle quali la subsp. viridis e la subsp. occidentalis sono presenti in Italia con aree di diffusione simili e con differenze minime anche se l’occidentalis è più raro e, per alcuni autori, non sia nemmeno presente in Italia.
Concludendo la scheda che riportiamo qua sotto potrebbe andar bene anche per l’Helleborus bocconei con l’avvertenza che questa specie è compresa nell’elenco delle specie protette della regione Toscana insieme all’Helleborus niger, mentre il viridis non è presente.
LA PIANTA 1 (H. VIRIDIS)
Classificazione: Superdivisione: Spermatophyta; Divisione: Magnoliophyta (Angiospermae); Classe: Magnoliopsida; Ordine: Ranuncolales; Famiglia: Ranuncolaceae; Genere: Helleboris; Specie: viridis.
Forma biologica: Geofita Rizomatosa (simbolo G Rhiz). Geofita (simbolo G): pianta erbacea perenne con gemme in posizione sotterranea. Durante la stagione avversa non presenta organi aerei. Rizomatosa (simbolo Rhiz): il fusto sotterraneo è detto rizoma e da esso, ogni anno, si dipartono le radici ed i fusti aerei.
Descrizione: pianta erbacea sempreverde alta fino a 50 cm. Il rizoma nerastro è corto e ricco di radici. Il fusto è glabro, eretto e cilindrico. Le foglie basali sono grandi, fino a 30 cm di lunghezza, e sono suddivise in una decina di segmenti stretti e lanceolati dai margini dentellati, si formano dopo la fioritura. Invece le foglie cauline hanno dimensioni minori e hanno l’aspetto di brattee dentellate. I fiori sono riuniti a gruppi di 2-4, inizialmente rivolti verso il basso poi diventano patenti[9]. Il diametro del fiore raggiunge i 5 cm ed è formato da 5 sepali allargati di forma ellittica e di colore verde o verde-giallastro. I frutti sono follicoli allargati e provvisti di lunga appendice e ricchi di semi.
Antesi: gennaio-aprile
Tipo corologico: spontanea dell’Europa centrale, in Italia diffuso solo al nord compresa la Toscana.
Habitat: vegeta a piccolo gruppi in radure boschive, prati e nei boschi cedui da bassa quota fino a 1600 metri.
Conservazione: non è specie a rischio.
LA PIANTA 2 (H. FOETIDUS)
Helleborus foetidus L.
Nome volgare: elleboro fetido, elleboro nero, elleboro puzzolente.
Il nome specifico deriva dal latino foetǐdus (= puzzolente, fetido) e dipende dall’odore poco gradevole della pianta.
Classificazione: Superdivisione: Spermatophyta; Divisione: Magnoliophyta (Angiospermae); Classe: Magnoliopsida; Ordine: Ranuncolales; Famiglia: Ranuncolaceae; Genere: Helleboris; Specie: foetidus.
Forma biologica: Camefita suffruticosa (simbolo: CH suffr). Camefita (simbolo Ch): piante perenni e legnose alla base, con gemme svernanti poste ad un'altezza dal suolo tra i 2 ed i 30 cm. Suffruticosa (simbolo: suffr): le parti erbacee seccano ogni anno e rimane in vita la parte legnosa.
Descrizione: pianta erbacea perenne alta fino a 80 cm. Il fusto è legnoso alla base, strisciante e poi eretto. Le foglie sono verde scuro, quelle inferiori sono lunghe fino a 30 cm, palmate, divise in lobi ed hanno margine dentato. Le foglie superiori sono più piccole, ovate e intere. I fiori sono globosi e penduli larghi fino a 3 cm, hanno colore verde-giallastro con margine rosso-brunastro e il loro odore è particolarmente sgradevole. Il frutto è un achenio.
Antesi: gennaio-aprile
Tipo corologico: pianta di origine caucasica ben acclimatata in Europa dove si comporta da infestante prendendo il posto di piante autoctone. In Italia è comune.
Habitat: vegeta ai margini dei boschi, in luoghi cespugliosi e sassosi a mezz’ombra fino a 1000 metri di quota.
Note: è ben coltivabile in vaso e da essa si producono interessanti cultivar colorati e odorosi. È pianta velenoso per quanto abbia proprietà vermifughe e narcotiche.
Questa pianta si distingue bene per le dimensioni, per la forma delle foglie e per il fiore che è molto diverso dall’ Helleborus viridis.
Altre foto relative a questo genere, presenti su questo sito, possono essere consultate qui per H. viridis e qui per H. foetidus
Attenzione: le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimentari eventualmente indicati sono a puro scopo informativo. Decliniamo pertanto ogni responsabilità sul loro uso a scopo alimentare, curativo e/o estetico.
note
1 Da non confondere con la più nota Stella di Natale o Poinsettia che appartiene alla famiglia delle Euphorbiaceae (Euphorbia pulcherrima). Essa è originaria del Messico e fu introdotta negli Usa dall’ambasciatore Joël Robert Poinsett. Col tempo nacque la moda di regalare la pianta per Natale e questa moda è giunta anche in Italia dove la pianta ha trovato ottime condizioni per prosperare, non solo in serra, come in Sicilia.
2 Leggende cristiane riportano il fatto che una pastorella, dopo aver visto i doni che i Magi avevano portato al Bambin Gesù, regalò al piccolo questo fiore che sbocciava nella neve facendo una bellissima figura.
3 Questa versione è accettata dai principali dizionari italiani, ma rimane la perplessità del fatto che la pianta è tossica per cui è improbabile sia usata come alimento dagli animali.
4 A me questo pare più plausibile e senz’altro artificiosa la seconda parte della spiegazione.
5 Pietro Pellegrini “Flora della Provincia di Apuania ossia Rassegna delle piante fanerogame indigene, inselvatichite, avventizie esotiche e di quelle largamente coltivate nel territorio di Apuania e delle crittogame vascolari e cellulari, con la indicazione dei luoghi di raccolta”, Stab. Tip. Ditta E. Medici, Massa, 1942. Il testo è stato ristampato in copia anastatica nel maggio 2009 dalla Società Editrice Apuana di Carrara per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara. Pag. 24.
6 In parentesi quadra c’è l’aggiornamento della nomenclatura dovuto a Fabio Garbari, Annalaura Carducci, Maria Ansaldi, Giuseppe Trombetti dal libro: “Pietro Pellegrini”, Società Editrice Apuana per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara, Carrara, 2009. All’articolo “Appendici. Nomenclatura dei taxa nella “Flora” di P. Pellegrini e loro aggiornamento. Pag. 33-77. (Il testo è allegato alla ristampa anastatica di cui alla nota 1).
7 Serviva per curare (annoccare) le infezioni e infiammazioni di cani, capre, pecore: si introduceva la radice nel rigonfiamento (nocca) e i principi attivi della pianta guarivano l’animale.
8 Il nome specifico gli viene dal botanico siciliano Paolo Silvio Boccone (Palermo 1633 – Palermo 1704) naturalista e in particolare botanico. Viaggiò in Italia ed in Europa e fu botanico di corte del granduca toscano Ferdinando II. Egli frequentò anche le Apuane alla ricerca di piante rare.
9 In botanica il termine patente si riferisce a un organo disposto in modo da formare con l’organo contiguo un angolo retto.