(f.f.) l’ Erica carnea è pianta molto frequente sui rilievi apuani ed è tra le prime a fiorire alla fine dell’inverno, a volte con il terreno ancora coperto di neve. È pianta protetta dalla Regione Toscana.
IL GENERE ERICA
Famiglia Ericaceae
Erica L. fu classificata da Linneo nel 1753
Il nome generico Erica deriva dal verbo greco έρείκω (= spezzare, rompere) in relazione al fatto che l’erica rompe facilmente lo strato di terra o di neve che la copre. Altri autori sostengono che la denominazione derivi invece dal fatto che le radici rompono facilmente la roccia e altri ancora alle pretese proprietà della pianta di distruggere i calcoli renali.
Comunque i termini ĕrīcē, ēs ed ĕrīca, ae furono già usati da autori latini come Plinio il Vecchio.
Il genere Erica comprende circa 700 specie di piante fruticose[1] o suffruticose[2]
sempreverdi alte da 20 cm fino a 150, ma l’Erica arborea e l’Erica scoparia possono superare anche i 6 metri. Queste piante prosperano prevalentemente nell’Africa meridionale, ma sono presenti anche nel resto del continente africano, nella zona mediterranea e nell’Europa occidentale.
Queste piante hanno foglie piccole e aghiformi generalmente verticillate, i fiori sono per lo più penduli, solitari o riuniti in racemi e non superano i 6 mm di lunghezza e sono urceolati, cioè a forma di orcio per la fusione dei petali. L’abbondante produzione di fiori favorisce la coltivazione di queste piante come ornamentali.
Alcune specie sono molto diffuse in Italia, in particolare nella macchia mediterranea, ma vegetano anche su colline e montagne: Erica arborea, Erica carnea, Erica multiflora ed Erica scoparia.
Le eriche sono le tipiche piante delle brughiere dove crescono in gruppi numerosi. La brughiera prende nome dal termine latino volgare di origine celtica brucus che designava sia l’erica sia la Calluna vulgaris (pianta delle Ericaceae a fioritura tardo-estiva abbastanza simile all’Erica carnea) pianta adattata a vivere su terreni poveri di nutrienti minerali, molto acidi e aridi. In Italia la brughiera era ben diffusa nella Pianura Padana prima che le bonifiche ne riducessero la diffusione.
L’erica è molto ricca di nettare e le api ne ricavano un miele scuro molto apprezzato, le radici vengono usate per fabbricare fornelli da pipa di gran pregio (essenzialmente l’Erica arborea) e i rami tortuosi e molto ramificati erano usati in passato per fare scope (essenzialmente l’Erica scoparia).
Con i fiori si producevano decotti usati come rimedio per malattie renali. I fiori erano poi considerati portafortuna e offerti come pegno d’amore.
Il nome di persona Erica, ben distribuito nel nord del nostro paese, non deriva dal nome del fiore, ma dal nome scandinavo Erik (anticamente Eirikr) che significava “ricco d’onore”, “unico padrone”. Questo nome fu usato dai re svedesi dal medio evo al rinascimento ed è il nome del famoso Erik il Rosso che arrivò in Groenlandia.
In molti dialetti locali (Sarzana, Carrara, Massa, Lucca, Pistoia) le eriche sono conosciute come stipa invece il termine, in italiano, significa “insieme di sterpi e rami secchi usati per accendere il fuoco” e viene usato anche per denominare alcune graminacee.
ERICA CARNEA
Erica carnea L.
Classificata da Linneo nel 1753.
Conosciuta anche come: Erica herbacea L.
C’è stata un’ampia discussione sul nome da usare per questa specie e oggi si preferisce la denominazione Erica carnea.
Conosciuta volgarmente come: brugo, erica, erica carnicina, scopina.
Il nome specifico carnea deriva dal latino carnĕus, a, um (= di carne) in relazione al colore rosa intenso dei fiori, che comunque possono essere anche bianchi.
Il nome specifico herbaceus deriva dal latino herbācĕus, a, um (= erbaceo, color d’erba) per il fatto di essere un arbusto piccolo rispetto alle specie congeneri.
L’Erica carnea è frequente su tutti i monti apuani dalle quote basse delle colline del Candia, nel versante carrarese, fino quasi alle vette. In Toscana si trova anche in Garfagnana e in qualche zona della Toscana meridionale ed è quindi considerata specie protetta per la sua limitata diffusione.
I fiori hanno proprietà diuretiche oltre ad avere proprietà antisettiche, sudoripare e decongestionanti.
È pianta colonizzatrice per cui viene usata per rinaturalizzare ambienti degradati anche per il fatto che prospera sia su suoli calcarei che su suoli acidi. Inoltre è usata anche come pianta ornamentale nei giardini per formare bei tappeti colorati tanto che sono stati selezionati molti cultivar diversi per colore dei fiori e delle foglie.
Così riporta il botanico apuano Pietro Pellegrini3:
954. – Erica carnea – L. [Erica herbacea L. subsp. herbacea]
= Erica herbacea – L.
= Erica saxatilis – Salisb.
= Gypsocallis carnea _ D. Don.
(luoghi in cui è stata osservata:) Al M. Belvedere e al M. Fragolito, nel M. Brugiana e tra la Brugiana e Caglieglia, sopra il Forno e a Resceto. Sopra Colonnata (Somm.), a Campo Cecina, a Campo Catino e in altri luoghi del gruppo del Sagro, tra Ponte di Monzone e Vinca, a Marciaso di Fosdinovo, nella selva di Tresana e in tutto il territorio di Mulazzo, in tutti i boschi e selve del territorio di Zeri, in val Gordana e in valle del Verde a Pontremoli. Indicata in Lunigiana anche al M. Gotro (Parl.) e nel M: Corboli presso Fosdinovo, fra Carrara e Torano (bert.) e al M. Carchio sopra Montignoso (Pucc.).
Volg. Scopina. Fiorisce da febbraio a giugno. Pianta legnosa.
Pellegrini cita altre specie dello stesso genere: Erica arborea L., Erica scoparia L. [Erica scoparia L. subsp. scoparia]
LA PIANTA
Classificazione: Superdivisione: Spermatophyta; Divisione: Magnoliophyta (Angiospermae); Classe: Magnoliopsida; Sottoclasse: Dilleniidae; Ordine: Ericales; Famiglia Ericacae; Genere Erica; Specie: Erica carnea
Forma biologica: Camefita suffruticosa (simbolo: Ch suffr). Camefita (simbolo Ch): piante perenni e legnose alla base, con gemme svernanti poste ad un'altezza dal suolo tra i 2 ed i 30 cm. Suffruticosa (simbolo: suffr): le parti erbacee seccano ogni anno e rimane in vita la parte legnosa.
Alcuni autori la classificano invece: Camefita fruticosa (simbolo: Ch frut). Camefita (simbolo Ch): piante perenni e legnose alla base, con gemme svernanti poste ad un'altezza dal suolo tra i 2 ed i 30 cm. Fruticose (simbolo: frut): hanno un aspetto arbustivo.
Descrizione: arbusto perenne sempreverde e prostrato con fusti legnosi striscianti sul terreno. Dai fusti partono piccoli rami ascendenti alti fino a 40 cm che portano foglioline aghiformi dal leggero profumo di vaniglia, lunghe fino a 8 mm, riunite in verticilli con colore in genere verde scuro che seccando diventano brunastre, secondo l’esposizione le foglie possono essere anche bronzee o giallastre. I fiori sono unilateri e riuniti in racemi terminali, essi hanno la corolla a forma di botte a causa della fusione dei petali (fiore urceolato) e il loro colore varia dal bianco al rosa intenso e al porpora. Dalla sommità del fiori fuoriescono gli stami e lo stimma favorendo l’impollinazione entomofila. Il frutto è una capsula.
Antesi: febbraio – giugno.
Tipo corologico: è pianta montana e alpina dell’Europa meridionale dalla penisola iberica ai Balcani. In Italia vegeta sulle Alpi, sull’Appennino tosco-emiliano e sulle Alpi Apuane, forse anche nel Lazio.
Habitat: vive nei prati, nei pascoli aridi, nei pendii sassosi e nelle zone luminose dei boschi fino a 2500 metri, preferisce substrati calcarei, ma è presente anche su terreni silicei. Sulle Apuane è presente dalle pendici più basse fin quasi alle vette.
Conservazione: la specie è compresa nella LRT (Lista Rossa Toscana) delle specie vegetali protette.
Altre foto relative a questa specie, presenti su questo sito possono essere consultate qui.
Attenzione: le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimentari eventualmente indicati sono a puro scopo informativo. Decliniamo pertanto ogni responsabilità sul loro uso a scopo alimentare, curativo e/o estetico.
note
1 Frutice: pianta con fusto legnoso e ramificato dalla base.
2 Suffrutice: pianta con fusto legnoso per breve tratto e consistenza erbacea nella parte superiore.
3 Pietro Pellegrini “Flora della Provincia di Apuania ossia Rassegna delle piante fanerogame indigene, inselvatichite, avventizie esotiche e di quelle largamente coltivate nel territorio di Apuania e delle crittogame vascolari e cellulari, con la indicazione dei luoghi di raccolta”, Stab. Tip. Ditta E. Medici, Massa, 1942. Il testo è stato ristampato in copia anastatica nel maggio 2009 dalla Società Editrice Apuana di Carrara per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara. Pag. 197.