(f.f.) il ginepro fenicio è arbusto non spinoso, come è invece il comune ginepro, che vegeta sulle rupi calcaree apuane fino a 1400 metri. Esso è testimonianza vivente di condizioni climatiche più calde e più secche sulle nostre montagne.
IL GENERE JUNIPERUS
Famiglia Cupressaceae
Juniperus L. fu classificato da Linneo nel 1753.
Il nome generico Juniperus deriva dal latino iūnĭpĕrus, i[1] (= ginepro, usato sia per la pianta che per il frutto).
L’origine della parola latina è ancora incerta. Per alcuni deriverebbe da un termine celtico gen (= cespuglio) e da uno latino aspĕr, (ĕ)ra, (ĕ)rum (= aspro) in riferimento al gusto dei frutti di queste piante. Va rilevato, comunque, che appare improbabile una derivazione celtica per il nome di una pianta conosciuta da sempre dalle popolazioni che abitavano la penisola italica.
Per altri autori originerebbe dai termini latini iūnix, īcis (= giovenca) o iūnĭŏr (= più giovane) e părĭo, is, pĕpĕri, partum, ĕre (= partorire, produrre). Infatti lo Juniperus sabina è emmenagoga (cioè facilita le mestruazioni) e veniva data alle vacche per facilitare il parto. Oppure era così chiamata perchè produce sempre germogli giovani.
Il genere Juniperus comprende da 50 a 70 di specie, secondo le classificazioni, ampiamente diffuse nell’emisfero boreale dalle zone artiche a quelle tropicali. Esse amano i terreni calcarei ed esposti al sole. Le foglie sono aghiformi o squamiformi. Esistono specie monoiche e specie dioiche. I coni femminili sono formati da squame che si fondono insieme a formare i galbuli, falsi frutti carnosi che somigliano a bacche contenenti fino a 12 semi, essi maturano da 6 a 18 mesi. I galbuli variano dall’arancio al rosso bruno, ma per lo più sono blu. Essi sono aromatici e vengono usati come spezie in cucina e in erboristeria. Infatti sono numerose le proprietà medicamentose, oltre che dei galbuli, delle foglie e del legno da cui si ricava un olio usato contro malattie della pelle.
Alcune specie sono usate per la produzione di legno e altre per decorazione nei giardini.
Ricordiamo tra le specie più diffuse:
Juniperus communis (ginepro comune) è un arbusto con foglie aghiformi e pungenti la cui bacca bluastra aromatica è usata per la produzione del gin. Essa è comune dei luoghi aridi con alcune sottospecie adattate fino a 2500 metri.
Juniperus sabina (ginepro sabina) è un arbusto con foglie squamiformi usato come pianta ornamentale e per consolidare i terreni.
Juniperus macrocarpa (ginepro coccolone) con foglie aghiformi , è molto resistente alla salsedine per cui è usato per consolidare le dune sabbiose dei litorali.
Juniperus virginiana (cedro della Virginia) è di origine americana, raggiunge i 30 metri di altezza ed è apprezzato per il suo legno di grande qualità.
JUNIPERUS PHOENICEA
Juniperus phoenicea L.
Classificata da Linneo nel 1753.
Conosciuta volgarmente come: ginepro fenicio, cedro licio
Il nome specifico phoenicea deriva dall’aggettivo latino phoenīcĕus, a, um (= di color rosso porpora) a sua volta derivato dal greco φοίνιξ (= rosso porpora)[2]. È incerto poi se il termine greco derivasse dal nome che essi davano al popolo fenicio[3] o se il nome del popolo invece derivasse dal nome del colore. Ovviamente il termine si riferisce al colore dei frutti di questa pianta.
È una specie mediterranea tipica dei litorali e della macchia, ma può raggiungere anche i 2400 metri nella catena dell’Atlante in Marocco. È pianta ad accrescimento molto lento e molto longeva, infatti può superare i 1000 anni di età. Il suo legno è di ottima qualità e le bacche sono apprezzate come aromatizzanti e per le proprietà fitoterapiche per quanto la pianta sia considerata tossica. A differenza del ginepro comune le sue foglie non pungono.
Sulle Alpi Apuane è specie eterotopica, cioè si trova in un ambiente diverso da quello in cui vegeta normalmente. Questo documenta, quindi, le oscillazioni climatiche avvenute nei periodi post-glaciali. Il clima caldo e secco, presente allora sulle Apuane, permise a piante mediterranee di salire in quota e di rimanervi anche dopo i successivi cambiamenti climatici. Oggi vegeta su rupi calcaree ben esposte al sole fino ai 1400 metri della Cresta Nattapiana del Pizzo d’Uccello.
Esistono due sottospecie:
Juniperus phoenicea subsp. phoenicea presente in tutto l’habitat della specie con coni globosi con ampiezza e lunghezza praticamente uguale. Essa è quella descritta in questo articolo.
Juniperus phoenicea subsp. turbinata presente solo sulla zona costale con coni ovali più stretti che lunghi
Così riporta il botanico apuano Pietro Pellegrini[4]:
1348. – Juniperus phoenicea – L. [Juniperus phoenicea L. subsp. phoenicea]
= Juniperus lycia – L.
(luoghi in cui è stata osservata:) Alle cave di Carrara sopra Torano (Bert.) e sui monti di Aiola (Vitm.), a Resceto presso Massa (Becc.). Nei monti di Equi in regione La Guardia nella valle del Lucido. Indicato anche in luoghi rupestri alle cave di Miseglia presso Carrara sopra la galleria della ferrovia marmifera (Bolzon).
Volg. Appeggi.
Fiorisce in maggio. Pianta legnosa.
Pellegrini cita altre due specie dello stesso genere: Juniperus communis L. [Juniperus communis L. subsp. communis] e Juniperus macrocarpa Sibth et Sm. [Juniperus oxycedrus L. subsp. macrocarpa (Sm.) Ball]
LA PIANTA
Classificazione: Superdivisione: Spermatophyta; Divisione: Pinophyta; Classe: Pinopsida; Ordine: Pinales; Famiglia: Cupressaceae; Genere: Juniperus; Specie: Juniperus phoenicea
Forma biologica: Fanerofita cespugliosa (simbolo: P caesp). Fanerofita (simbolo: P) è una pianta perenne e legnosa con gemme svernanti poste a più di 30 cm dal suolo. Cespugliosa o cespitosa (simbolo: caesp) significa che il portamento è cespuglioso.
La pianta può avere anche forma biologica di: Fanerofita arborea (P scap). Fanerofita (simbolo: P) è una pianta perenne e legnosa con gemme svernanti poste a più di 30 cm dal suolo. Scaposa (simbolo Scap): pianta dotata di asse fiorale eretto e spesso senza foglie.
Descrizione: arbusto o, più raramente, piccolo albero sempreverde alto fino a 8 metri. La chioma è verde-scuro, da globosa a ombrelliforme negli esemplari più vecchi. Il tronco può raggiungere 1 metro di diametro, la corteccia è grigio brunastra con strato sottostante rossastro. I rami sono molto fitti e le foglie hanno due forme: quelle delle piante giovani sono lunghe fino a 10 mm, disposte in verticilli, appiattite e pungenti, invece negli esemplari più anziani sono squamiformi, più corte, con apice ottuso e densamente embricate. La pianta è essenzialmente dioica, ma esistono anche esemplari monoici. Le “infiorescenze” maschili sono piccolo coni ovoidali giallastri posti all’apice dei rametti mentre quelle femminili sono piccoli coni verdastri. Lo pseudofrutto è una sorta di bacca globosa chiamata galbulo contente fino a 8 semi, essa matura in due anni. Il suo colore varia dal verde-giallastro al rosso scuro a maturazione.
Antesi: marzo-aprile
Tipo corologico: euro-mediterranea. In Italia è presente in Piemonte e Liguria, nelle regioni tirreniche e nelle isole maggiori e in Puglia.
Habitat: zone costiere della macchia mediterranea, colline aride e rupi calcaree fino a circa 800 metri. Sulle Apuane arriva fino a 1400 metri.
Conservazione: la specie non è compresa nella LRT (Lista Rossa Toscana) delle specie vegetali protette.
Altre foto possono essere consultate qui
Attenzione: le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimentari eventualmente indicati sono a puro scopo informativo. Decliniamo pertanto ogni responsabilità sul loro uso a scopo alimentare, curativo e/o estetico.
note
1 Ricordiamo che la lettera j, come pure la w e la u, erano sconosciute ai latini e furono introdotte in epoca rinascimentale. A rigore anche in italiano la j non dovrebbe esistere.
2 Il pigmento si estrae da un mollusco l'’Haustellum brandaris ovvero il murice comune.
3 C’è da aggiungere che i fenici come popolo sono un concetto di origine greca per denominare l’insieme delle città che esistevano sulle coste orientali del Mediterraneo corrispondenti più o meno all’attuale Libano.
4 Pietro Pellegrini “Flora della Provincia di Apuania ossia Rassegna delle piante fanerogame indigene, inselvatichite, avventizie esotiche e di quelle largamente coltivate nel territorio di Apuania e delle crittogame vascolari e cellulari, con la indicazione dei luoghi di raccolta”, Stab. Tip. Ditta E. Medici, Massa, 1942. Il testo è stato ristampato in copia anastatica nel maggio 2009 dalla Società Editrice Apuana di Carrara per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara. Pag. 270.