(f.f.) l’esplorazione delle Apuane inizia come esplorazione del gruppo delle Panie ed in particolare della Pania della Croce, di cui si parlava sin dall’antichità per la sua possanza e per l’amenità del luogo.
PANIA E DINTORNI - NE HANNO SCRITTO – CI SONO STATI
LETTERATI
Dante Alighieri
La Pania della Croce fu citata da Dante nella Commedia, Inferno, canto XXXII, versetti 28-30 per sottolineare la consistenza del massiccio strato di ghiaccio nel quale sono rinchiusi, fino al viso, nell’ottavo cerchio (Cocito), i traditori dei parenti, della patria e della propria parte politica.
Infatti Dante dice che il ghiaccio non si sarebbe minimamente incrinato anche facendoci precipitare sopra la Tambura (Stamberlicche) o la Pania della Croce ( Pietrapana dall’antico nome Pietra Apuana).
"...Non fece al corso suo sì grosso velo
di verno la Danoia in Osterlicchi,
nè Tanaì là sotto ‘l freddo cielo,
com’era quivi; che se Tambernicchi
vi fosse sù caduto, o Pietrapana,
non avria pur dall’orlo fatto cricchi..."
Se leggiamo il commento di Benvenuto da Imola[i] alla Commedia:
Petrapiana, quae est montanea altissima omnium Tusciae, quae olim vocata est Petra Appuana, sicut saepe patet apud Titum Livium, et est prope Petra sanctam non longe a civitate
lucana in confinibus Tusciae.
(trad: Petrapana, la montagna più alta di tutta la Toscana, che una volta era chiamata Pietra Apuana come si ricava da Tito Livio, si trova vicino a Pietrasanta non lontano da Lucca
nei confini della Toscana)
Boccaccio
Boccaccio parla della Pania nella sua opera minore “De montibus, silvis, fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis seu paludis, et de nominibus maris liber”[ii] del 1360. Essa è un repertorio ordinato alfabeticamente di nomi geografici ricorrenti in opere latine.
Petra Appuana mons est olim Gallorum Frimenatum ab initio Apoenini in agrum Lucensium protensus, hinc Ligustinum Tuscumque mare et veterem Lunam civitatem, indi Pistoriensium et
Florentinorum campos aspiciens et procurrentia in euroaustrum Apoenini iuga, rigens fere nive perpetua, et a quo quondam Apuani nominati sunt Galli.
(trad: il monte Pietra Apuana è proteso dall’inizio dell’Appennino dei già Liguri Friniati verso la pianura lucchese e da qua verso il mare Ligure e Tirreno e la vecchia città di Luni, quindi guarda verso la piana pistoiese e quella fiorentina e si avanza verso i gioghi dell’Appennino sud-orientale, è fredda quasi per neve perpetua e dal suo nome i Galli furono chiamati Apuani.)
Ludovico Ariosto[iii]
Nella Satira IV a Messer Sismondo Malegucio, vv. 139-144, così scrive:
La nuda Pania tra l’aurora e il Noto,
da l’altre parti il giogo mi circonda
che fa d’un Pellegrin la gloria noto.
Questa è una fossa, ove abito, profonda,
donde non muovo piè senza salire
del silvoso Apennini la fiera sponda.
Giovanni Pascoli[iv]
Io che l’amo, il vecchio monte
gli parlo ogni alba, e molti dolci cose
gli dico[v]
Gabriele D’Annunzio[vi]
Tra le diverse sue citazioni del monte, nelle sue poesie, ricordiamo:
Ogni cosa più gran dolcezza impetra.
Tutto avvolge l’immensa pace urania.
Fin, nell’aere tenue, si spetra
la cruda Pania.[vii]
In ogni sostanza si tace
La luce e il silenzio risplende
La Pania di marmi ferace
Alza in gloria le arci stupende.[viii]
NATURALISTI
Molti scienziati e naturalisti esplorarono la Pania e le zone circostanti. Essi furono favoriti dalla facilità di accesso alla zona di Mosceta, molto panoramica e molto amena.
I botanici Luca Ghini[ix] e Luigi Anguillara[x] visitarono la Pania il 4 luglio 1545 per raccogliere piante, in particolare l’Hypericum coris[xi] e furono costretti a tornare a valle a causa del maltempo.
Paolo Silvio Boccone[xii], botanico palermitano venne sulle Apuane a ricerca di piante rare per conto del granduca Ferdinando II.
Nel 1678 Iacopo Benti[xiii] andò sulla Pania per stabilire i confini esatti tra il granducato e lo stato modenese, il 24 settembre 1678 lo stesso con altre persone salì sul monte, anche se non sappiamo se arrivò alla vetta
Antonio Vallisneri[xiv], naturalista nato a Trassilico in Garfagnana nel comune di Gallicano, fu nella zona apuana tre volte: nel 1704, nel 1708 e nel 1711.
Nel 1718 Domenico de’ Corradi d’Austria[xv], sovrintendente alle miniere di Fornovolasco, che già aveva accompagnato Vallisneri, salì il monte senza arrivare in vetta dal momento “che ciò è forse concesso alle sole capre”.
Il botanico Pier Antonio Micheli[xvi] alla fine del 1600, non ancora ventenne, fu alle pendici della Pania e ne salì i versanti scoscesi alla ricerca dell’Elleboro considerato rimedio alla follia. Egli fu anche riverito maestro di Targioni Tozzetti che gli succederà come direttore dell’Orto Botanico e come professore e fu il suo biografo.
Colse adunque la congiuntura di tre giorni festivi di seguito nel mese d’Agosto, e si portò velocissimamente a piedi, con soli cinque paoli in tasca, e pochi quaderni di carta sugante, fino alla più alta cima della scoscesa Pietra Pana, appena accessibile alle capre, ed ivi gli riuscì trovare in abbondanza il desiderato Elleboro [si tratta in realtà dell’Astrantia Pauciflora[xvii]] del Boccone ..... Mi raccontò il Micheli che era già passato il mezzogiorno della seconda giornata quando trovò la pianta del Boccone, laonde fattane copiosa raccolta, e più contento che se avesse scoperta una miniera d’oro, diede subito di volta a dietro, lusingandosi di potere in ugual tempo ritornare a Firenze .... verso le ore 21 all’italiana, giunse all’osteria del Ponte alle Calle, come si suol dire, più morto che vivo. L’oste .... mosso a compassione, lo refocillò ed alloggiò gratuitamente, sicchè la mattina dopo di buon ora il Micheli potè partire e rimpatriare, col ricco bottino di molte belle piante[xviii]
Micheli tornò sulle Apuane insieme al suo maestro Bruno Tozzi[xix] con cui raggiunse le pendici del Matanna in
vista delle orride alpi di Pietra Pana diretto per Fornovolasco in Garfagnana.
Giovanni Targioni Tozzetti[xx], celebre naturalista e geografo toscano, venne nel 1743 a visitare la zona e scrisse:
Finalmente dopo un tratto ripidissimo, e penosissimo di Strada, sempre per una Faggeta, sotto della quale il terreno è nudo, giunsi alle Bocchette
del Forno Volastro, le quali sono più scavi a foggia di porta, dentro a grossissimi massi di Marmo bianco, in una cima curva della Montagna, la quale a Levante si profonda nella Valle
della Versilia, chiamata oggidì Capitanato di Pietrasanta; a mezzogiorno si alza una Montagna detta ... [T.T. non scrive il nome] compresa nello Stato di Lucca; e finalmente a
Tramontana si alza nella grandissima Alpe quasi conica di Pietra Pania, detta Termine, o cima di Monte Pania, la quale si vede da Firenze, e resta coperta di neve fino al principio di
Luglio. La Pietra Pania da questa parte è tutta composta di Marmo bianco, ed è quasi intieramente nuda, e ripidissima a salirsi: per la parte di Tramontana è meno ripida, e vi sono
Prati vastissimi, chiamati i Pratoni. Sulla cima vi è il confine[xxi] di tre Stati, cioè
Toscana, Modena, e Massa. Nelle fessure e commettiture dei vastissimi filoni di Marmo, che formano questo immenso scoglio conico, è restata qualche poca di terra, ed ivi nascono
alcune Piante rarissime, le compagne delle quali non si possono trovare altrove, che nelle cime delle Alpi dell’Abruzzo, e degli Svizzeri, e dei Pirenei, come per cagion d’esempio il
Gallium saxatile minimum Pyrenaicum, Musci facie I. ft. R. H. 115 e l’Astrantia, o Helleborus minimus Alpinus Astrantiae flore Bocc. Rar. 11. E come mai i semolini di queste
Pianticelle, hanno potuto fare salti così mortali fra queste eccelse Alpi, così enormemente distanti? Ci vuol’altro che Venti, e che Uccelli per trasportarvegli, e spargervegli: chi
l’intende è bravo!
Leonardo Ximenes[xxii] a sua volta visitò la zona verso il 1761 ed in una sua opera del 1747 raffigurò in una incisione la Buca della Neve della Valle dell’Inferno, come osservata nel 1729 dall’architetto fiorentino Filippo Chiocchio (questo è scritto da T. Tozzetti a pagina 72 dell’opera precedentemente citata nella nota 6).
Ambrogio Soldani[xxiii] abate camaldolese e naturalista fu in zona probabilmente alla ricerca di fossili.
Il lucchese Giovanni Stefano Conti[xxiv] fu sulla vetta della Pania nel 1760, nel 1761 ed il 7 luglio 1762. La salita avvenne dalla Costa Pulita per il Passo degli Uomini delle Nevi (chiamato allora Malpasso) e per il Vallone dell’Inferno. Poi rammenta che nel 1760 osservò un mare di nuvole in direzione Fornovolasco e continua:
La figura della più alta parte della Pania è la seguente. Dalla parte di ponente ha una larghissima facciata tutta dirupata e tagliata a piombo inaccessibile affatto per
un’altezza di 300 braccia almeno, dove si vede evidentemente che il monte ha avuto nei secoli addietro la sua pendenza, ma che essendosi staccato e caduto è rimasto così quasi
perpendicolare. Dalla parte di Maestro, Settentrione, Greco ha una faccia convessa con varie ripiegature, ma pende tanto ripida che non si potrebbe scendere senza evidente pericolo. A
Levante il giogo va scendendo dolcemente poi gira a Mezzodì, e scende ripidissimo, e poi attacca con l’altra punta della Pania ove io non sono stato, e dove c’è una gola dalla quale
si può venire a salire sulla cima più alta. A Mezzogiono è poi il vastissimo Prato nel quale è l’accesso alla Cima per chi viene da Camajore, o dal Forno Volasco....
Lazzaro Spallanzani[xxv] definì le vette delle Panie “ossa spolpate”, egli visitò la zona apuana nel
1783 e, probabilmente, vide anche la Pania della Croce.
Antonio Bertoloni[xxvi], insigne botanico sarzanese, visitò le pendici del monte alla ricerca di rare piante apuane, alcune delle quali da lui identificate e nominate.
Giovanni Inghirami[xxvii] fu in zona per misurare le cime principali delle Apuane allo scopo di redigere la carta topografia della Toscana.
REPETTI[xxviii]
ALPE
APUANA, PANIA[xxix] (Petra Appuana). Nome dato da Dante in poi a quel gruppo di acutissimi
monti posti tra Lucca e Luni, il Serchio, l’Aulella e il littorale da Viareggio a Carrara... L’intiera giogaia sia per la forma acuminata delle sue creste, sia per la struttura e
indole del terreno, appartiene ad un sistema assai distinto dalla catena superiore dell’Appennino, dalla quale può dirsi isolata, ad eccezione di una profonda foce volta a greco-sett.
là dove si schiudono le opposte Valli del Serchio e della Magra, e verso dove scendono a picco i due fra i più elevati e inaccessibili monti designati coi nomi di Pisanino e di Pizzo
d’Uccello.... le più elevate cime della Pania di fronte all’Appennino di Mommio sono quelle del Pisanino, che alza 3503 brac.[xxx] sopra il livello del mare.... ad esso succedono per ordine di elevatezza nello stesso lato il Pizzo d’Uccello che ha 3282 br. di altezza, il
Monte Sacro e la Pania della Croce che ascende a br. 3188..........
ALTRI NATURALISTI E PRIMI ALPINISTI
Emilio Simi[xxxi], figlio di Angiolo, imprenditore del marmo a Levigliani di Stazzema, fu in vetta alla Pania
della Croce il 15 luglio 1844 insieme a Leopoldo Pilla[xxxii], professore all’università di Pisa, e agli allora
giovani Gustavo Dalgas[xxxiii] e a Ezio de Vecchi[xxxiv]. Simi accompagnò in vetta alla Pania Federico Augusto[xxxv] re di Sassonia il 30
luglio 1853 e gli fece visitare l’Antro del Corchia e questo evento è ricordato da una lapide posta a Levigliani nel Palazzo Simi, poi albergo Il Faro: “Federico Augusto re di
Sassonia, dell’opere mirande della natura contemplatore sapiente, i 30 luglio 1853 ascendeva la Pania visitava l’Antro del Corchia e, nel transitare per Levigliani, l’ospitalità del
Gonfaloniere Angiolo Simi, cortese aggradendo, designava onorare di sua presenza quest’umile abitazione prendendovi cibo e riposo”
Nel 1853 arrivarono il naturalista svizzero Ludwig Rütimeyer[xxxvi] ed il geologo Igino Cocchi[xxxvii] per motivi di studio, in particolare il geologo italiano, apuano di nascita, frequentò molto la nostra zona.
Nel giugno del 1870 ci fu la prima ascesa femminile alla Pania: due gentili signore furono portate in vetta dalla guida Pietro Babboni (o Bamboni) di Levigliani. Purtroppo non mi è noto il loro nome né la loro provenienza.
DALGAS
Gustavo Dalgas così ricorda le sue almeno cinque salite alla vetta della Pania[xxxviii]:
... nell’ultima pubblicazione del Bollettino [1873] trovo un articolo sulle Alpi Apuane, in cui il signor Utterson-Kelso[xxxix], dato un accenno sommario della bellezza e dell’interesse di questa catena, che è una miniatura delle Alpi, fa la relazione di alcune sue gite
nella Versilia, una delle quali, intrapresa e non compiuta, al monte Pania. Avendo io un tempo fatto lunghi soggiorni nella Versilia, e adoperato il vigore delle gambe giovanili (non
ancora irrugginite del tutto) a percorrere le Alpi Apuane, ad ascenderne le vette scoscese e deliziarmi delle scene magnifiche che presentano, mi vo’ provare di completare la
relazione del signor Kelso, e di far conoscere con qualche particolare quanto riguarda una cima meritevolissima di essere segnalata agli amatori delle escursioni montane.
Poi Dalgas continua con una critica severa, che poteva risparmiarsi, ai montanari, da lui considerati ignoranti dei luoghi in cui vivono e non in grado di fare da guida agli escursionisti forestieri. Probabilmente egli conosceva poco la durissima vita di queste persone le cui energie erano finalizzate a guadagnarsi da vivere in un ambiente povero ed ostile e gli mancava quel minimo di empatia per comprendere la loro situazione. I contadini locali non avevano certo tempo da perdere in salite faticose e per loro sicuramente inutili in modo poi da far da guida ai ricchi ed oziosi cittadini in cerca di avventure.
Riguardo all’impresa fallita di Kelso, così prosegue:
se non fosse stata la nebbia da cui si trovò involto il signor Kelso, posso dir francamente che ad un alpinista par suo sarebbe stata lieve impresa di raggiungere solo la cima
della Pania, essendo il pizzo terminale verso cui era avviato, nudo di vegetazione arborea ed arbustiva, come tutte le erte e grige vette principali degli Apuani, ed il sentiero che
va su per la china, di mediocre ripidezza, scevro di pericolo, rasentando soltanto nell’ultimo tratto, e da un lato solo, una balza precipitosa. E posso anche confermarlo
nell’opinione, la quale da per sé si era formato, che, se avesse incontrato tempo chiaro, la veduta, di cui avrebbe goduto da quella vetta, gli sarebbe parsa largo compenso alla non
straordinaria fatica durata per raggiungerla.
La Pania, la Pietra Pana di Dante, non è la cima più alta delle Apuane, essa ragguaglia metri 1.860-70 sopra il livello del mare ........... ma la sua ubicazione la fa centro di
un panorama di gran lunga più esteso di quelli che comandano le altre, anche prossime vette. Il generale Ezio de Vecchi, il quale, in compagnia dell’avvocato Pozzolini ha eseguita nel
mese di agosto di quest’anno [1874] l’ascensione del Pizzo d’Uccello e del Pisanino ...... deve ... essersi rammentato come quasi trent’anni fa, appunto il 15 luglio del 1844, egli ed
io, allora studenti, facemmo l’ascensione della Pania in compagnia del comune maestro e amico il rimpianto professore Pilla, e insieme ai signori Simi di Levigliani, i quali ci
avevano cortesemente ospitati.
Continua ricordando i panorami che si godono dalla vetta:
basta pensare che questo pizzo, unico fra i suoi anche un poco più elevati confratelli, si scorge contemporaneamente da Viareggio, da Lucca, da Pisa, da Livorno, da Volterra, da
Siena, da Firenze, dalla valle inferiore dell’Arno e dalle pianure di Maremma fino al monte Argentaro, per farsi idea della vastità del panorama terrestre che esso domina, mentre gli
si apre dinanzi vastissima distesa di mare, in cui si scorgono disseminate le isole dell’arcipelago Toscano fino alla Corsica, e l’osservatore mira ai suoi piedi, come una mappa
dispiegata, il golfo della Spezia con tutte le numerose insenature del suo orlo settentrionale, oltre del quale l’occhio segue la riviera ligure, quando la purezza dell’aria lo
consente fino alle coste d’Antibo ed alle Alpi Marittime.
Poi ricorda la visione di un mare di nuvole nell’estate del 1849, spettacolo sublime che capita, a volte, di ammirare in altre vette apuane:
uno strato uniforme d’insolita nebbia cuopriva la superficie del mare e tutte le bassure terrestri, mentre le regioni superiori dell’aria erano di una purezza e di una trasparenza
straordinarie, sicché emergevano, come da un pelago, da quello strato di bassi vapori i diversi gruppi montuosi, che apparivano distaccati; ed al pari dell’Elba, della Gorgona, della
Capraia, sembravano tante isole ......
La cima della Pania fu uno dei vertici della triangolazione eseguita dagli ufficiali dello Stato Maggiore austriaco pel rilievo della carta topografica del Gran Ducato e dei
Ducati. Le prime volte che fui su quella vetta vi si vedeva una piramide formata di sassi murati a secco, che aveva servito di punto di mira in quell’operazione geodetica; di poi i
venti ed i fulmini in parte, in parte i pastorelli che salgono talora colassù hanno demolito quel manufatto... la rammentata carta topografica dello Stato Maggiore austriaco, che è
pubblicata per le stampe, si riscontra assai esatta, come dappertutto, anche per le Alpi Apuane, e servirà da guida al viaggiatore che la consulti. Il maggior appunto che le si può
fare per la parte in discorso, si è la mancanza dei nomi di alcuni siti montuosi e dell’indicazione di alcuni sentieri battuti.
Ed indica il percorso seguito
La via più breve e più agevole per chi voglia salire in vetta la Pania è di muovere da Seravezza, d’onde una strada ruotabile di circa tre miglia, passando pel villaggio di Ruosina, conduce a Cansoli. Ivi, lasciando a sinistra la strada aperta del cavaliere Sancholle Henraux pel trasporto dei marmi delle sue cave del Giardino nelle pendici del monte Altissimo, si sale prima al villaggio di Levigliani, d’onde prosegue la via comunale mulattiera detta delle Volte, a cagione delle numerose rivolte per cui si sale a zig-zag l’alta e scoscesa balza che chiude la vallecola di Levigliani. Varcata la foce di Mosceta comincia a pianeggiare traversando quei prati a dolce pendio, sormontati dal nudo pizzo della Pania .....l’ascensione da Cansoli a Mosceta può essere eseguita senza sforzo in tre ore o poco più da un buon camminatore, e può anche farsi assai bene a mulo o a cavallo. Quindi un’ora e mezzo di marcia forzatamente a piedi conduce alla vetta.
Poi, dopo aver esaltato la bella fonte di Mosceta, aggiunge che questo è un bel posto per riposare e rifocillarsi e dove costruire un rifugio:
questo sarebbe il sito acconcio a bivaccare per chi volesse salire sulla Pania all’alba o trattenervisi fino al tramonto, ora forse più confacente d’ogni altra per quella veduta. E sarebbe questo il luogo ove erigere un ricovero o piccolo albergo estivo, quando la frequenza di ricorrenti fattasi pari al merito di questa gita ne suggerisse la convenienza. Attualmente i casali più vicini di Puntato e Col di Favilla, composti di miseri tugurii di pastori e di coltivatori che vanno a fare le raccolte d’estate, non offrono comodo di ospitare , nemmeno per una notte, chi abbia menomamente abitudini di confortevole e di nettezza.
L’articolo continua parlando degli uomini della neve e dei loro sentieri e poi dei monti e dei luoghi circostanti.
ZOLFANELLI - SANTINIxl
In questo modo citano la Pania nella loro guida che si occupa della Val di Nievole, della Valle del Serchio, delle Panie, della Val di Magra e dei monti e del golfo di Spezia:
La prossima Pania della Croce all’altezza di 1860 metri sul livello del mare, è scoscesa, arida, spogliata, con creste addentellate, con profondi burroni, serbatoi di perpetua
neve, ove annida l’aquila e cresce qualche rara pianta alpina. Questo nudo gigante, di color plumbeo, non è ricordato nelle carte del medio evo; Dante è il primo che lo ricordi col
nome di Petrapana. Nella sua opera dei Monti lo rammenta pure Boccaccio, dimostrandolo quasi sempre coperto di nevi; l’estimo di Cardoso del 1407 è il primo documento locale che ne
parli. La catena dei monti che da essa dirama, sì per la forma acuminata delle sue vette, come per la natura dei suoi terreni, differisce sostanzialmente da quella dell’Appennino.
Predomina infatti nella sua ossatura una inesauribile miniera di calcare saccaroide; in diversi punti compariscono filoni metallici di ferro, di mercurio, di piombo argentifero. Lo
Stenone, che studiò lo stato fisico di questo gruppo di monti, riconobbe fino dal 1665 che appartengono agli strati primitivi del globo, e che sono anteriori alle piante ed agli
animali[xli].
FRESHFIELD
Il grande alpinista ed esploratore William Douglas Freshfield[xlii] fu autore di un ottimo articolo[xliii] sulle Alpi Apuane, pubblicato in inglese.
L’autore fu in Italia insieme a François Joseph Devouassoud[xliv] nel maggio 1875 per visitare e salire le Apuane. Scalò la Pania, ma il maltempo gli impedì di seguire il suo programma che doveva portarlo sui monti di Carrara, Pistoia e Massa per cui scese in Abruzzo per scalare il Gran Sasso.
Nell’articolo inizia parlando dell’ignoranza diffusa riguardo l’Appennino e della mancanza di attrattive per l’alpinista a causa dell’aspetto tondeggiante delle vette, ma, aggiunge, che ci sono delle eccezioni tra cui le Alpi Apuane.
Le Alpi Apuane, conosciute comunemente fra gli Inglesi sotto il nome di Montagne di Carrara, sono ammirate con passione dai poeti e dai pittori per la ragione delle loro forme
ardite e belle e del loro stupendo colorito... l’occhio del viaggiatore scorge le loro creste aguzze dalle città di Pisa, di Lucca, ed anche da Volterra e da Firenze. Si innalzano
maestosamente sopra le acque limpide del golfo della Spezia, e sporgono come le teste di tanti guerrieri armati fuori dall’anfiteatro delle folte e grige foreste di olivi, coperte
nell’inverno di candida neve, e dorate l’estate dal sole e dalle varie tinte dei marmi antichi, perdendosi poi nelle ombre purpuree di un cielo meridionale. Il solo luogo nondimeno
ove i pochi touristes inglesi le contemplano, è la città di Carrara, celebre per le sue numerose cave di marmo.
Continua parlando della posizione di Carrara, delle sue cave, del lavoro dei cavatori, del trasporto del marmo e della ferrovia marmifera appena costruita. Poi continua parlando della tenuta di S. Rossore
Di tutte le vedute della catena delle montagne di Carrara, quella che si gode dalla spiaggia del Gombo è la più magnifica...dietro la nera foresta di pini che protegge la costa dall’invasione del mare, la terra si innalza in grandiose sommità verso il cielo. Al di sopra delle loro cupole di marmo bianco si vedono spuntare certe punte aguzze, certe creste, che danno un’aria veramente alpestre al paesaggio. Queste rocce precipitose si alzano maestosamente a 7000 piedi circa al di sopra di noi...
Nel centro della catena si scorge un gruppo di alti picchi; ed una torre isolata si erge superba a ciascuna sua estremità. La torre settentrionale è il Monte Sagro; quella
meridionale la Pania della Croce, la Pietra Pana di Dante, che fu il primo scrittore, credo, che ne abbia fatto menzione nella letteratura italiana. Come il magnifico campanile di
Giotto serve di segnale alla città di Firenze, così questa montagna di marmo si distingue da tutto il Val d’Arno. Da tutte le parti il viaggiatore scorge questa imponente sommità che
torreggia all’orizzonte come un antico castello del medio evo. Dal ponte alla Carraia le nevi sulla sua cima brillano come oro ed argento nelle mattinate d’inverno, e durante
l’autunno le sue rocce riflettono un color rosso di carbonchio. Intorno alle cave di marmo di Carrara esistono alcune cime più elevate; ma per la sua prominenza, il suo isolamento e
la sua forma, la Pania occuperà sempre il primo posto nella nostra immaginazione quando pensiamo alle Alpi Apuane. Questa montagna sta come un segnale da Spezia fino a Firenze, come
un faro per i marinai sul mare toscano fino all’isola di Corsica. Si comprende dunque il desiderio che sorge nell’animo del viaggiatore di arrampicarsi sulla sua cima onde godere da
quell’altezza di tante storiche rimembranze. La Pania dunque, più di tutte le montagne secondarie d’Italia, merita l’attenzione dei touristes. Se essa si trovasse situata nella
Svizzera, da molto tempo i suoi dintorni sarebbero coperti di alberghi, con un concorso sterminato di forestieri di tutte le nazioni.
Invita poi il turista a riprendere vigore a percorrere le stupende e numerose gallerie di quadri di Firenze coll’intraprendere alcune gite sulle sommità alpine nelle montagne di
Carrara, ove troverà non solamente le bellezze naturali, ma anche l’aria sana e rinvigorante del mare.
Poi indica la strada per arrivare alla Pania:
dalla stazione di Querceta .. una buona strada carrozzabile si dirige verso le montagne. Essa conduce per una stretta gola a Seravezza, una prospera terra di circa 2000 abitanti... dopo aver lasciato il paese seguimmo le rive del Serra, lasciando a sinistra il torrente Vezza[xlv], che discende dal Monte Altissimo, il quale, non ostante il suo nome altisonante, non è che una delle sommità inferiori della catena. Passando oltre ad una grande fonderia, al villaggio di Ruosina, il nostro vetturino voltava in uno stretto vallone laterale, ove presto la strada ruotabile terminò. Si principia poi un’ascensione di più di un’ora a traverso una selva di castagni fino al villaggio di Levigliani, il paese più elevato di questo versante della montagna, il quale è noto per le sue miniere di mercurio e di cinabro, aperte al tempo dei Medici. Nelle montagne prossime a Levigliani ci sono due grandi caverne chiamate la Tana dell’Uomo selvatico, e la Tana d’Eolo o grotta del Monte Corchia.
A Levigliani Freshfield alloggia dal tabaccaio Fornari e la mattina dopo parte per la vetta:
Per un buon camminatore tre ore e mezzo bastano per andare dal villaggio fino alla sommità della Pania della Croce. Un sentiero ben lastricato conduce il viaggiatore alla cresta che divide il vallone di Levigliani dalle acque del Serra[xlvi]. Di là è una passeggiata di mezz’ora sull’erba, per giungere al punto culminante della valle ai piedi della Pania. A questo punto abbiamo fatto una sosta per contemplare lo spuntar del sole che si elevava sul mare e sulla terra. Si vedevano i fianchi del Monte Forato, un massiccio di roccia che prende il suo nome da una apertura in forma di finestrone arcato, che si scorge perfettamente dalla costa.... Un sentiero da capre conduce sulla parte inferiore di questa stupenda piramide di marmo; e poi dopo bisogna arrampicarsi sulle pietre e le rocce, ma senza esporsi a nessun pericolo. Essendo il principio di maggio, abbiamo ancora trovato una leggera copertura di neve sulla sommità. Il panorama della Pania è limitato da due orizzonti, uno verso il nord, l’altro verso il mare e gli Appennini centrali. Sotto i nostri piedi giace la gentile Toscana con le sue nobili città.....da lontano sul mare si vedevano ergersi le sommità elevate dell’Isola d’Elba. D’altra parte si scorgevano sull’orizzonte le isole di Gorgona e di Capraia bagnate da una luce color porporino e coperte di casolari bianchi. A ovest apparivano le cime delle montagne della Corsica, ma il cielo era troppo caliginoso per distinguerle nitidamente.
Continua descrivendo il panorama sul golfo della Spezia fino alle Alpi Marittime, sulle Apuane settentrionali e sull’Appennino e la Garfagnana descritta come la Valle d’Aosta degli Appennini.
Un largo sentiero corre lungo la base nord-ovest della Pania. Si vedevano grosse valanghe di neve cadute nelle gole della montagna, aprendo profonde spaccature tagliate nei boschi
di faggio. Il sentiero volge tutto ad un tratto per traversare poi il torrente, ed arrivare al Puntato, il primo villaggio da questo lato della catena. Di là il sentiero ci avrebbe
condotti indietro alle sorgenti della Turrite Secca in Val d’Arni, uno dei valloni più remoti di questo distretto....Una pastorella ci mostrava la strada della Pania, per la quale si
deve fare il giro della montagna. Era un sentiero mal tracciato, con tante ramificazioni conducenti alle stazioni dei carbonai. Non era possibile di non sbagliare cammino. Siamo scesi
dunque troppo in giù, ed abbiamo dovuto farci una via lungo le ripide pendici coperte di boschi, con precipizi di sopra e di sotto. In molti luoghi se si sdrucciolava, si rischiava di
perdere la vita; ed in questa congiuntura l’Alpenstock della mia guida François Devouassoud serviva molto meglio del mio ombrello[xlvii]. Nondimeno, con un poco di perseveranza abbiamo ritrovato la buona strada senza perdere troppo tempo. Questo sentiero passa
ad una grande altezza sopra il corso del torrente. Il fianco della montagna era formato da grandiosi precipizi nella sua parte superiore, e di ripidi pendici più in giù; e coperto di
boschi verdeggianti di faggi. Sul lato opposto del torrente si poteva osservare, che gli alberi di castagni non avevano spuntate ancora le foglie. Finalmente voltiamo intorno
all’ultima cresta della Pania, e ci precipitiamo correndo sull’erba fiorita e lungo un crinale stretto, per arrivare ad alcuni casolari che coronavano l’altura. Invece di scendere a
sinistra verso il letto del torrente Turrite Secca, il sentiero si volge in direzione opposta intorno alla parte superiore di un vallone laterale. Una ripida discesa e poi una
faticosa salita facevano dire al François, che dopo la nostra partenza da Svanetia (in Circassia) non avevamo mai incontrato una vallata così ondulata ed irregolare. Il sentiero ci
conduceva in un prato coperto di bianchi ed odorosi fiori di narcisi, sulla sommità della cresta che domina verso sud la vallata di Petrosciana. Di qui sarebbe cosa facile giungere a
Gallicano per una strada diretta, passando per Forno Volasco. A partire da questo punto il sentiero si dirige lungo un terrazzo sulla spina delle montagne, e ad un’altezza sufficiente
per evitare e le contropendenze. Finalmente scendiamo verso i villaggi gemelli di Sassi ed Eglio, ove le case scialbate, con giardini pieni di arbusti fioriti ed ornati di statue, ci
facevano ricordare che eravamo nel centro del bel paese d’Italia.
I due giungono quindi a Castelnuovo Garfagnana dove alloggiano e visitano il borgo e parlano col libraio locale. Poi Freshfiled spiega che aveva intenzione di visitare le montagne di Carrara, di Massa e di Pistoia, ma la primavera ancora in ritardo lo spinse a scendere verso il Gran Sasso. L’articolo è corredato da un suggerimento per una traversata di dieci giorni tra Carrara, il Solco d’Equi, il Pizzo d’Uccello, il Pisanino, la Pania e le montagne Pistoiesi.
TUCKETT
Il celebre alpinista scozzese Francis Fox Tuckett[xlviii] salì sulla Pania nel 1883 e, a riguardo, scrisse un articolo[xlix] del quale riportiamo un brano:
La descrizione molto affascinante di W. D. Freshfield riguardo alle “Alpi Apuane”, (chiamate anche le montagne di Carrara) e alla scalata che egli ha compiuto sulla Pania della Croce... mi ha reso impaziente di curiosare su e giù per questo amabile massiccio, e così .... ho virato di bordo verso le montagne, trovandomi con François Devouassoud nel pomeriggio del 15 maggio scorso su per quel sentiero costeggiato di castagni sopra Cansoli – dove finisce la carrozzabile di Serravezza – diretto al piccolo villaggio di Levigliani. Riguardo alla nostra interessantissima salita del giorno successivo alla cima della Pania, basterà dire che la parte sommitale era ricoperta di uno strato sottile di neve, con una cresta affilata come quella del Lyskamm, percorribile in un quarto d’ora; inoltre desiderando visitare Barga nella valle del Serchio, ho preferito una diversa via di discesa da quella di Freshfield, per la valle della Torrite di Petrosciana che termina a Gallicano. Allo scopo di limitare gli errori ai prossimi viaggiatori, voglio ricordare che dopo essere scivolati per un pendio nevoso in direzione Est-Sud-Est, ci siamo trovati a 1000 piedi o forse anche di più al di sotto della vetta, tagliati fuori dal normale sentiero; risaliti di nuovo e faticosamente i costoloni sulla nostra sinistra, abbiamo raggiunto le tracce di un viottolo che apparentemente partiva dalla valle della Torrite Secca attraverso lo spartiacque congiungendo la Pania con la Paniella [=Pania Secca ndR], ma era nascosto dalla neve dove questo traversava alla testata del colle che avevamo varcato in precedenza. Così dopo breve e facile traversée del contrafforte che corre in basso dalla Pania verso S.E., abbiamo guadagnato, scendendo per piccole rocce, la testata della Costa Pulita, come è chiamato il ripido pendio che scende alla foce tra la Pania ed il Monte Forato.
VERONESE
La prima ascensione invernale è raccontata da Pasquale Veronese[l], della sezione Ligure del Cai:
Ecco i nomi dei Soci che presero parte all’escursione: Antonio Berlingieri, Lodovico Cassini, Gerolamo Pastorino, Francesco Podestà ed io, cui si aggiunse poscia il sig. Giacomo Canevari....
Il gruppo pernotta il 4 febbraio 1882[li] a Ponte Stazzemese ed il giorno dopo (domenica) alle 6 e mezza parte con Ignazio Ancillotti ed il figlio Ottavio, contadini al servizio dell’albergatore che fungevano da portatori e guide. Lungo il percorso si aggiungerà la guida di Pruno Efisio Vangelisti ed a Mosceta lo zio di questi Giuseppe Vangelisti la cui presenza non era prevista, ma si rivelerà decisiva per la riuscita dell’impresa. Passando per Volegno arrivano alla Foce di Mosceta.
A tutti coloro che ci incontravano per la strada o ci vedevano dalle finestre delle loro casette formavamo oggetto di maraviglia e stupore. Lo stupore crebbe poi a dismisura
quando ebber modo di conoscere le nostre intenzioni: tentennavano il capo e, come si seppe in seguito, corsero poi tra essi e tra gli abitanti degli altri villaggi della valle
numerose scommesse sul buon esito della nostra intrapresa.
Il gruppo arriva a Mosceta dove il ragazzo Ottavio viene lasciato presso la fonte a far la guardia al materiale non necessario alla salita.
Dalla Foce di Mosceta per un’ora si segue il piccolo sentiero appena tracciato, che per quelle rocce marmoree serve in estate ai così detti uomini della neve ......... il
sentieruolo era allora quasi scomparso sotto la neve, e per l’ultima parte di salita che in estate si compie in un’ora non esiste traccia alcuna da percorrersi nemmeno nella buona
stagione. Ora calpestando la neve, ora aggrappandoci ai nudi massi e schivando alla meglio le pietre che rotolavano smosse dal passo di chi si trovava più in su, arrivammo a
mezzogiorno sul crinale che corre tra il Pizzo delle Saette e la Pania... giunti sul crinale in discorso si fece una breve sosta per vedere se lo stato della neve permetteva
d’avventurarci più in là. L’Ancillotti, andato a provarne col picco la consistenza, ritornò scoraggiato, dicendo che la neve fina qual polvere formava uno strato sottile, sotto il
quale trovavasi la crosta ghiacciata e consistente. Il Giuseppe Vangelisti provatosi alla sua volta, si mise senz’altro a rompere il passaggio a furia di picco. Tre dei compagni non
si avanzarono più oltre allo scopo di tener compagnia ad uno fra essi colto nell’ultima parte della salita da momentaneo malessere, e gli altri tre procedettero, slegati, nell’ordine
seguente. Veniva prima la brava guida Giuseppe Vangelisti, lo scrivente, G. Canevari, l’Ancillotti, A. Berlingieri e l’Efisio Vangelisti. Le guide, succedentesi l’una all’altra,
ruppero scalini sulla crosta ghiacciata vicinissimo allo spigolo del crinale per un’ora e mezza fino a che si arrivò poco distante dal punto culminante. Ivi si percorse addirittura
l’angusto spigolo quasi pianeggiante, ora affatto nudo ora coperto di neve, e in poco più di 10 minuti si arrivò al segnale ivi eretto l’8 settembre 1874 per le operazioni
geodetiche.... l’Efisio diè fuoco ad alcuni cespugli d’erbe secche liberi dalla neve sul pendio volto a mezzodì, talché in breve fummo avvolti dal fumo. Il bravo giovane volle in tal
modo dar prove lampanti della nostra riuscita ai numerosi increduli della vallata che di lontano ci tenevano in osservazione.
Veronese continua esaltando il panorama, riportando la temperatura in quota di -1°,6 e la discesa facile e breve. Il giorno dopo alle 3,30 della mattina il gruppo era già a Genova in treno.
note
i Benvenuto Rambaldi (Imola 1338 – Ferrara 1388), detto anche Benvenuto da Imola, erudito umanista. Fu uno dei più antichi commentatori della Commedia di Dante, infatti fu autore del “Commentum super Dantem”.
ii Libro sui monti, le selve, le fonti, i fiumi, gli stagni e le paludi e sui nomi del mare.
iii Ludovico Ariosto (Reggio Emilia 1474 – Ferrara 1533) poeta, scrittore e drammaturgo. La sua opera principale è L’Orlando Furioso. Visse alla corte degli Estensi che gli affidarono il gravoso compito di Governatore della Garfagnana dal 1522 al 1525. La provincia era stata da poco annessa al ducato ed era molto turbolenta e l’incarico fu inviso al poeta che non poteva dedicarsi completamente al suo lavoro letterario come avrebbe voluto. Comunque adempì all’incarico con fermezza dimostrando capacità politico-amministrative.
iv Giovanni Pascoli (S.Mauro di Romagna Forlì 1855 – Bologna 1912) comprò casa s Castelvecchio di Barga in Garfagnana dove visse con la sorella e dove si fece seppellire. Insegnò anche al Liceo Classico Rossi di Massa.
v Dalla poesia “The Hammerless gun” ne “I canti di Castelvecchio”.
vi Gabriele D’Annunzio (Pescara 1863- Gardone Riviera BS 1938) tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 creò il mito della Versilia mediante le pagine dell’Alcyone in cui tracciò la mappa della zona destinata, poco dopo, a diventare una delle mete turistiche preferite della borghesia italiana.
vii Da Alcyone: Feria d’Agosto.
viii Da Alcyone: Undulina.
ix Luca Ghini (Casalfiumanese BO 1490- Bologna 1556) medico e botanico, fondò l’Orto botanico di Pisa, il primo del mondo e poi quello di Firenze, fu tra i primi ad usare il sistema degli erbari.
x Luigi Anguillara (Anguillara Sabazia RM 1512 – Ferrara 1570) medico e botanico, il suo cognome alla nascita era Squalermo. Fondò l’Orto botanico di Padova.
xi Detta Erba di S.Giovanni ed anche Scacciadiavoli. La specie prospera sull’arco alpino e le Apuane costituiscono uno dei punti più meridionali della sua distribuzione. È un piccolo cespuglio con fiori gialli molto evidenti. Nell’Europa del Nord vi era l’abitudine di adornare la casa con questi fiori nella Walpurgisnacht (notte delle streghe). La pianta era ritenuta utile contro gli incantesimi e proteggeva contro le streghe. Inoltre per il colore giallo dei suoi fiori era simbolo del sole e come tale usata nelle feste del solstizio d’estate., come quella di San Giovanni.
xii Paolo S. Boccone (Palermo 1633 – Palermo 1704) naturalista ed in particolare botanico. Viaggiò in Italia ed in Europa e fu botanico di corte del granduca toscano Ferdinando II. Alcuni testi per errore lo chiamano Bacone.
xiii Non abbiamo informazioni su Benti. La fonte della notizia è il cultore di storia locale Mario Taiuti vedi Giorgio Giannelli, Uomini sulle Apuane, Galleria Pegaso Editore, Forte dei Marmi, 1999, pag 15-16.
xiv Antonio Vallisneri o anche Vallisnieri (Trassilico LU 1661 – Padova 1730), medico e biologo frequentò l’università di Padova, ma si laureò a Reggio Emilia. Fu professore a Padova e pubblicò libri di carattere geologico, zoologico e medico. Fu tra i fondatori della moderna ricerca biologica sostenendo la necessità di spiegare i fenomeni naturali mediante leggi generali e condivise la teoria della “scala naturale” che lega l’uomo con gli altri animali destinata a precorrere le teorie evoluzionistiche.
xv Domenico de’ Corradi d’Austria (Modena 1677, Modena 1756), matematico ducale, ingegnere, fisico, chimico e geologo. Rivestì diversi incarichi civili e militari alla corte modenese. I suoi interessi furono vastissimi dalla balistica, alla meteorologia. In particolare scrisse due libri sul calcolo differenziale ed integrale legati alla personale conoscenza con Leibniz che soggiornò a Modena nel 1689-1690.
xvi Pier Antonio Micheli (Firenze 1679, Firenze 1737) botanico e micologo, docente a Pisa e direttore dell’Orto Botanico fiorentino (Giardino dei Semplici), considerato come il fondatore della micologia mondiale con l’opera “Nova Plantarum Genera” .
xvii L’astranzia delle Apuane è presente solo sulle Alpi Apuane.
xviii Il brano si trova in Giovanni Targioni Tozzetti (a cura di Adolfo Targioni Tozzetti), Notizie della vita e delle opere di Pier’Antonio Micheli, Le Monnier, Firenze, 1858, pag 13-17.
xix Bruno Tozzi (Montevarchi AR 1656 – Vallombrosa Reggello FI 1743) frate, botanico e micologo. Fu maestro ed amico di Pier Antonio Micheli.
xx Giovanni Targioni Tozzetti (Firenze 1712- Firenze 1783) fu medico e naturalista toscano. Fu allievo di Pier Antonio Micheli ed autore di un testo fondamentale: Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di esse. Il brano riportato nel testo è tratto dal volume VI pag 71 della seconda edizione dell’opera (Edizione seconda con copiose giunte, Tipografia Granducale per Gaetano Cambiagi, Firenze, 1773). Ed il viaggio è dell’autunno 1743.
xxi T. Tozzetti sbaglia: infatti Stazzema si trovava nel Granducato di Toscana, Gallicano nello Stato di Lucca e Molazzana nel Ducato di Modena.
xxii Leonardo Ximenes (Trapani 1716- Firenze 1808), gesuita, geografo e matematico granducale, fondatore dell’osservatorio di Firenze che porta il suo nome. Progettò strade e lavori di bonifica e lavorò alla carta geografica della Toscana.
xxiii Ambrogio Bardo Maria Soldani (Pratovecchio AR 1736- Siena 1808) monaco, filosofo, naturalista è considerato il fondatore della micropaleontologia.
xxiv L’informazione è ripresa da: Giorgio Giannelli, opera citata, pag. 22-39. Egli riporta brani di una relazione dal titolo: “Viaggio da Lombrici di Camaiore al Monte della Pania” trovato all’archivio di Stato di Massa da Andrea Tenderini.
xxv Lazzaro Spallanzani (Scandiano RE 1729 – Pavia 1799) gesuita, naturalista e fisiologo, considerato il padre della fecondazione artificiale. Tra i suoi viaggi ricordiamo quelli in Toscana: in particolare nel 1783 fu alle cave di Carrara e sulle Apuane.
xxvi Antonio Bertoloni (Sarzana 1775 –Bologna 1869) medico, si dedicò poi alla botanica ed è considerato il più insegne botanico italiano del 1800. Scrisse una monumentale opera in 10 volumi sulla flora italiana: “Flora italica: sistens plantas in Italia et insulis circumstantibus sponte nascentes”.
xxvii Giovanni Inghirami (Volterra 1779 – Firenze 1851) astronomo e cartografo, fu direttore dell’osservatorio Ximeniano di Firenze. Nel 1830 pubblicò la “Carta topografica e geometrica della Toscana” in scala 1:200000 con il patrocinio del granduca Ferdinando III.
xxviii Emanuele Repetti (Carrara 1776 – Firenze 1852) geografo, storico e naturalista. Fu autore di un monumentale Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana.
xxix Emanuele REPETTI, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, tipografie Tofani e Mazzoni, Firenze, 1833-1845. Ristampa anastatica a cura della Federazione delle Casse di Risparmio della Toscana, Grafiche Fratelli Stianti, Firenze 1972. Vol. I, pag 69-73.
xxx 1 braccio: 0,583625 m
xxxi Emilio Simi (Ripa di Seravezza 1820 – Levigliani Stazzema 1875), naturalista ed imprenditore del marmo, scrisse il testo “Flora Alpium Versiliensium”. Scrisse anche un “Prodomo della fauna della Versilia” rimasto inedito fino al 1991. È considerato lo scopritore, o perlomeno il primo visitatore, dell’Antro del Corchia. Scoprì e studiò alcune tombe dei liguri.apuani a Levigliani.
xxxii Leopoldo Pilla (Venafro IS 1805 – Curtatone MN 1848) medico, geologo, letterato e patriota. Fu professore di Geologia all’università di Pisa dal 1842. Cadde nella battaglia di Curtatone e Montanara.
xxxiii Gustavo Dalgas (Livorno 1823-Firenze 1888) figlio del console danese di Livorno, ingegnere, fu a lungo vice-presidente della sezione fiorentina del CAI e grande conoscitore ed estimatore delle Apuane.
xxxiv Ezio de Vecchi (Grosseto 1826 – Firenze 1897) fu generale e senatore del Regno. Salì diverse vette apuane. Geologo e cartografo, amico di Pilla con cui fu a Curtatone, non gli fu permesso di seguire la carriera del suo mentore per cui fece carriera militare.
xxxv Federico Augusto II di Sassonia (Dresda 1797- Brennbüchel Tirolo 1854), re dal 1836 al 1854. Amante della botanica e della mineralogia. Pur avendo chiamato al governo ministri liberali si rifiutò di concedere la costituzione, da cui i moti di Dresda del 1849, la ribellione fu soffocata, ma il re affidò la direzione politica dello stato a Friedrich Ferdinand von Beust.
xxxvi Ludwig Rütimeyer (Biglen 1825 – Basel 1895) zoologo e paleontologo svizzero.
xxxvii Igino Cocchi (Terrarossa di Licciana Nardi MS 1827 – Livorno 1913) naturalista e geologo lunigianese, professore a Firenze. Fu molto attivo nella zona Apuana a studiarne la geologia. Fu tra i fondatori della società geologica italiana e del Cai. A lungo fu presidente della sezione Cai di Firenze.
xxxviii G. DALGAS, La Pania della Croce, Bollettino del Club Alpino Italiano, vol VIII, n° 22, 1874, pag. 86-94. Si trova in: Carlo MARIANI, L’ombrello di Freshfield. Relazioni di viaggio e storia dell’esplorazione nelle Alpi Apuane (1865-1905), Giardini Editori e stampatori, Pisa, 1986. Articolo monografico molto interessante.
xxxix William Emerson Utterson Kelso fu alpinista scozzese, forse il primo a superare il terzo grado. Salì anche le Alpi Apuane.
xl Vincenzo Santini (Pietrasanta LU 1807 – Pietrasanta LU 1876) storico, scultore e maestro di scultura. Cesare Zolfanelli (1835-1901) scrittore ed editore.
xli Cesare ZOLFANELLI, Vincenzo SANTINI, Guida alle Alpi Apuane, Tipografia di G. Barbèra, Firenze. 1874. Ristampa anastatica a cura di Multigrafica Editrice, Roma, 1983. Pag 144-145.
xlii William Douglas Freshfield (Londra 1845 – Forest Row 1934) viaggiatore ed alpinista inglese. Fu presidente del Club Alpino inglese e scalò anche le montagne apuane oltre a montagne in tutto il mondo tra cui diverse prime. Fu anche un grande scrittore di viaggi e di montagna.
xliii W. D. FRESHFIELD, Sketches from the Apennines, Alpine Journal, vol VII, n° 51, febbraio 1876. Tradotto in italiano da Richard H. Budden con il sottotitolo Alpi Apuane. Si trova in C. MARIANI, op citata, pp 93-104.
xliv François Joseph Devouassoud (Chamonix 1831 – Les Barets 1905) guida ed alpinista francese, grande amico di Freshfield che accompagnò nelle sue esplorazioni e scalate in tutto il mondo.
xlv Evidente la confusione tra i due torrenti i cui nomi devono essere sostituiti tra loro.
xlvi Chiaramente si riferisce alle acque del Vezza.
xlvii Da buon inglese Freshfield non si separava dal suo ombrello nemmeno in montagna. Da questo particolare origina il nome del libro di Mariani.
xlviii Francis Fox Tuckett (Frenchay Bristol 1834 – Frenchay 1913) di famiglia scozzese, fu alpinista di valore. Poi si diede ai viaggi di esplorazione in tutto il mondo.
xlix F. F. TUCKETT, The Pizzo d’Uccello and the Solco d’Equi, Alpine Journal, vol XI, n° 82, novembre 1883. Si trova in C. MARIANI, op. citata pp 160-166.
l Pasquale VERONESE, Prima ascensione invernale sulla Pania della Croce, Rivista Alpina Italiana, vol. I, n° 4, 30 aprile 1882, pag. 3-4. Si trova in: Carlo MARIANI, opera citata.
li A causa di un banalissimo refuso 1882 era diventato 1881, tanto che nel 1981 fu celebrato, erroneamente, il centenario di questa scalata.