COL DI FAVILLA
LO SPAZIO DI FABIO - rubrica curata da Fabio Frigeri
01 Dicembre 2008

Col di Favilla, oggi tristemente abbandonato, era davvero la fine del mondo.”
(Fosco Maraini)

(f.f.) Il borgo di Col di Favilla è davvero tristemente abbandonato, nonostante i tentativi di recuperare alcune delle sue vecchie abitazioni. La vita della comunità se ne è andata per sempre, con le sue gioie, presumo poche, ed i suoi molti dolori. Rimane comunque la memoria da conservare e credo che qualcosa si stia facendo: Maraini ha lasciato la sua bella testimonianza e lo scrittore locale Dovichi, a Col di Favilla, ha ambientato addirittura un romanzo. Per la festa di Sant’Anna, il 26 luglio, il borgo si riempie di vita nuovamente ed è una cosa buona. I vecchi riposano nel vicino cimitero che da solo merita una visita alla fine dell’inverno quando la neve lascia il posto ai delicati crochi: la vita rinasce sempre ed anche questa è cosa bella e buona.

COL DI FAVILLA

Detto anche Colle di Favilla, è un piccolo borgo, nel comune di Stazzema, tra i più alti nelle Alpi Apuane, ed è ormai disabitato da molti anni. Si trova a 940 metri di quota a cavallo del colle boscoso che dalla cresta NE del monte Corchia si dirige su Isola Santa ed è sovrastato dal possente Pizzo delle Saette. Dal piazzale antistante la chiesa si gode di bella vista anche sul monte Freddone e sul Sumbra e, di fronte, c’è una fonte dove si incontrano i due sentieri che arrivano a questo borgo.

L’ultimo parroco del paese fu don Cosimo Silicani[1], molto ospitale con gli alpinisti di passaggio[2]. la meridiana sulla facciata della chiesa di Col di FavillaEgli operò dal 1897 al 1942, anno della sua morte, fu artigiano e storico della piccola comunità e fece costruire nel 1910 la meridiana situata sulla chiesa; essa è la più alta di tutta la Toscana.

Il paese subì gravi distruzioni durante la seconda guerra mondiale, a causa della guerra di Liberazione, e fu completamente abbandonato negli anni ’60 anche se nel censimento del 1961 sono indicati ancora alcuni residenti.

L'area di Col di Favilla era anticamente un alpeggio di Levigliani[3] e quindi un insediamento a carattere stagionale sin dal XVII secolo e la chiesa viene fatta risalire al 1640, però solo intorno al 1880 si trasformò in un borgo con popolazione stabile. Le case erano costruite con la pietra locale e con i tetti ricoperti da ardesia. Le principali attività degli abitanti, chiamati colletorini, furono la pastorizia, la produzione del carbone da legna, la lavorazione dei metalli presso il Canale delle Verghe dove erano delle ferriere, l'estrazione del tannino dal castagno destinato alle concerie del pisano e l’impagliatura delle sedie. Una modesta agricoltura di sussistenza è testimoniata dai terrazzamenti, sostenuti da muri a secco, ancora presenti in zona.

la chiesa ed il campanile tra le frondeDi rilievo è la chiesa dedicata a S.Anna madre della Madonna, che, dopo le devastazioni sacrileghe del 1968-1970, fu restaurata e riconsacrata nel 1979. Nel 1983 fu affissa all’esterno un lapide marmorea a ricordo dell’evento, un’altra lapide affissa nel 1982 a cura dell’UOEI[4] di Ripa di Versilia ricorda don Cosimo con i versi di una sua preghiera. Il campanile è dietro la chiesa e svetta massiccio tra la vegetazione. Una lapide di marmo, posta alla sua base, ricorda la sua costruzione nel 1670 ed il cappellano Vannucci.

A fianco del campanile un breve vialetto, delimitato da faggi, porta ad un piccolo cimitero nel quale in inverno sbocciano i crochi, esso, purtroppo, subì devastazioni sacrileghe con asportazione di scheletri per presumibile uso di studio per studenti di medicina. La cupidigia umana non ha veramente limiti e non si ferma nemmeno di fronte alla sacralità della morte. Lungo il muro perimetrale sono state montate le lapidi in ricordo degli antichi abitanti. Il luogo è molto suggestivo nella sua semplicità ed invita al raccoglimento.

I discendenti degli antichi abitanti ritornano al paese per la festa di S. Anna, il 26 luglio, e qualcuno sta cercando di risistemare le vecchie abitazioni anche se la maggior parte del paese è desolatamente distrutta. Un comitato, formato dai discendenti degli antichi abitanti, del borgo tiene viva la festa di S.Anna ed ha provveduto al restauro della chiesa ed alla sistemazione del cimitero e pensa di adibire la canonica a punto di accoglienza per gli escursionisti.

Oltre al nucleo attorno alla chiesa altre case sparse si trovano intorno, in esse si intravedono i camini e tracce di intonaco colorato. Un gruppo di ruderi si trova lungo il sentiero 9 poche centinaia di metri prima di entrare nel borgo a sud, altri si trovano lungo il sentiero 11 anche abbastanza distanti ed alcuni sono stati restaurati e saltuariamente sono abitati. Molto caratteristici sono i sentieri alberati da lunghe file di faggi e le siepi di bosso vicino alle abitazioni che erano ritenute tenere lontane le serpi a causa del loro odore pungente.l'interno un pò 'pesante' della chiesa

COME SI ARRIVA

A Col di Favilla arriva la vecchia mulattiera da Levigliani per Isola Santa, oggi sentiero, c’è da aggiungere che il sentiero passa per la Foce di Mosceta alla quale convergono numerosi sentieri da Cardoso, Fociomboli, Pruno, Stazzema per cui sono varie le escursioni che possono arrivare al borgo o passare per esso.

Da Passo Croce, per Fociomboli e per il Puntato (cui arrivano anche i sentieri 128 e 129 dalla zona dei Tre Fiumi) arriva il sentiero 11.

Inoltre una strada non asfaltata, ma percorribile con auto, arriva dalla strada Castelnuovo-Arni, l’imbocco, chiuso da una sbarra metallica, è vicino ad una cava prima di arrivare ad Isola Santa. Lo stradello si innesta nel sentiero 11, poco prima di arrivare al borgo, ed è bello da percorrere a piedi e costeggia alcuni ruderi, uno dei quali è sicuramente un vecchio mulino.

COL DI FAVILLA NELLE LETTERE

Di Col di Favilla scrisse Fosco Maraini[5] ricordando una sua escursione, giovanissimo, sulle Alpi Apuane nel 1928, tra l’altro per lui, abituato a salire le colline attorno a Firenze, le Apuane furono le prime vere montagne.

L’articolo apparve una prima volta nella rivista “La Pania"[6] nel 1990 come rielaborazione di un vecchio scritto, poi divenne prefazione, con alcune modifiche, al libro di Giovannetti sulle Alpi Apuane, citato più avanti, del 1998. Infine la versione della rivista “La Pania”, dal titolo “Incontrammo il Linchetto?”, riapparve sul libro“Farfalle e ghiacciai. Scritti dal 1936 al 2001” allegato alla rivista i Meridiani Montagna (Editoriale Domus) dedicato alle Apuane, nel numero 31 del marzo 2008.il cimitero (la Spoon River) di Col di Favilla

Allora sedicenne, Maraini partì da Firenze, in estate, con l’amico di scuola Bernardo per salire alcune vette delle Apuane. Lo scopo della gita fu tenuto nascosto ai genitori.

I due giovani da Seravezza presero il treno della marmifera per Tre Fiumi e scesero dopo la galleria del Cipollaio e, passando per Campanìce, arrivarono presso la maestà dove oggi il sentiero 129 si immette nell’11 e qua dormirono su un mucchio di fieno. Il mattino seguente andarono al Puntato dove incontrarono un giovane pastore con cui scambiarono quattro chiacchiere:

Quando gli dicemmo che saremmo saliti volentieri sul Pizzo delle Saette ci guardò di traverso, quasi fossimo stati muniti di pericolosi poteri. “State attenti – fece sottovoce – lassù ci sono gli omobestie, e quando si incontrano quelli non si sa cosa succede...”

Dal Puntato si diressero poi verso la Foce di Mosceta e da lì a Col di Favilla, che divenne il loro punto d’appoggio:

Lasciato il pastore proseguimmo facilmente in piano per la Foce di Mosceta, e poi in discesa per un paesino il cui nome, letto sulle carte, ci aveva incantato: Col di Favilla [...] Scendi e risali, risali e scendi, finalmente scorgemmo, quasi sepolto tra giganteschi castagni, un campanile, poi comparvero dei tetti a lastre di pietra grigia, e delle case. Il villaggio sorgeva in un punto di straordinaria bellezza, sulla cresta pianeggiante d’un monte, a quasi mille metri di quota, proprio dinanzi ai dirupi spettacolari e selvaggi del Pizzo delle Saette. Col di Favilla, oggi tristemente abbandonato, era davvero alla fine del mondo. Per giungervi c’era solo un mezzo: il caval di San Francesco, e a larghe e lunghe dosi...

I due giovani trovarono alloggio presso una vedova che, per due lire, diede loro anche una ciotola di latte la mattina:

La vita materiale e morale a Col di Favilla ruotava ancora in pieno attorno al dio castagna. Le piante che producevano i frutti preziosi erano secolari, gigantesche, con certi tronchi da abbracciarsi in tre o quattro persone, curatissime, rispettate, amate. Il terreno ai loro piedi era tenuto libero da frasche, sterpi, cespugli d’ogni genere per poter raccogliere più facilmente i ricci d’autunno. Il castagneto aveva insomma gentilezza e respiro di un vero parco. E si mangiavano in continuazione i prodotti di questi alberi solenni e generosi: castagne secche nel latte, necci di farina dolce, pattona da tagliarsi col filo, migliacci di variate specie, tutte saporitissime.

Poi Maraini continua con un commento relativo ad una bella e misteriosa ragazza del posto a cui fece anche una foto che è riportata nel libro di Giovannetti:

In quei tempi viveva anche a Col di Favilla – temporaneamente o stabilmente?non si capiva – una strana e vistosa fanciulla. Era alta, formosa, e si vestiva più da borgo trafficato che da villaggio remoto, con una gonna che prefigurava con un anticipo di parecchi decenni Mary Quant e le sue mini. Teneva evidentemente moltissimo alle sue gambe, che infatti erano assai ben modellate. Le facemmo una foto e tutti del villaggio, uomini e donne, giovani e anziani, vennero a godersi la scena. Incuriositi chiedemmo notizie alla nostra vedova, padrona del letto-altipiano. La brava donna, parve molto imbarazzata, stralunò gli occhi ed esclamò soltanto: “Eh, quella là...!”. Poi non volle aggiungere altro.

il Pizzo delle Saette si intravede tra i castagni dallo spiazzo antistante la chiesaDopo aver scalato il Corchia ed il Freddone i due giovani salirono al Pizzo delle Saette, nonostante che i paesani gli avessero sconsigliato di farlo a causa del tempo molto mutevole in vetta e nel racconto la salita è descritta con grande minuzia di particolari e pure il ritorno a Col di Favilla e l’incontro con un vecchio e saggio pastore toscano.

Nel 2007 lo scrittore Giuseppe Dovichi, nato a Camigliano (Capannori LU) nel 1949, ha pubblicato un libro[7] dal titolo “Il profumo del vento” edito da Mauro Baroni di Viareggio.

Il libro narra la storia di un gruppo di giovani sognatori ed idealisti che si propongono di portare a nuova vita un paesino abbandonato delle Apuane. Questo paese è proprio Col di Favilla, l’impresa li porterà a scontrarsi con le difficoltà legate all’ambiente duro ed a volte ostile della montagna e con quelle, ancora più complesse, che si annidano nel cuore e nella mente dell’uomo, ma ne usciranno vincitori.

LA VITA DI UNA VOLTA (riflessione)

Oggi, come in tanti luoghi delle Apuane, nessuno vuole più vivere dove l’esistenza è dura, grama, fatta di patimenti e di privazioni[8].

La vita in montagna era dura, durissima. L’ambiente era difficile ed ostile: c’era solamente il lavoro che ti stordiva e ti permetteva di sopravvivere allo stesso modo da centinaia di anni. La caratteristica principale di quel tipo di esistenza era la chiusura degli spazi che si rifletteva nella chiusura delle menti.

A noi piace idealizzare il passato alla luce di un presente decisamente meno tribolato e forse lo fanno anche i vecchi abitanti dei borghi abbandonati delle nostre montagne alla luce delle indubbie difficoltà delle realtà cittadine e dell’ingravescente età.

Forse semplicemente riportano alla mente una fase spensierata dell’esistenza come la fanciullezza in cui veramente basta poco per star bene, ma poi bisognava fare i conti con la vita reale: il maschilismo ed il perbenismo, le piccole ostilità tipiche degli ambienti chiusi, l’ignoranza diffusa, la mancanza assoluta di riservatezza.

Il servizio militare portava almeno i giovani maschi a contatto con la vita cittadina ed era facile fare paragoni e sicuramente ci furono poi altre occasioni per conoscere il mondo “furesto” in piccolo l’obbligo dell’istruzione elementare. Potente divenne la voglia di andare via, di dare un senso al proprio lavoro che non doveva più essere solo sopravvivenza, di permettere ai propri figli un’esistenza diversa. Poi si torna al borgo natìo per le vacanze, a volte anche per trascorrere la vecchiaia, ma questo è possibile quando sono assicurate le condizioni minime per un’esistenza decorosa: l’elettricità, il riscaldamento, la possibilità di comunicare e di muoversi facilmente.

Con questi presupposti alcuni borghi sono ancora abitabili, ma inevitabilmente certi sono ormai destinati all’abbandono per sempre per la difficile posizione in cui si trovano e questo credo sia proprio il destino di Col di Favilla.

Quindi invece di nessuno vuole più vivere io scriverei nessuno può più vivere.

ITINERARI RELATIVI A COL DI FAVILLA PRESENTI SUL SITO:

BIBLIOGRAFIA

Bruno Giovannetti, “Le Alpi Apuane. Un piccolo grande mondo”, Le Lettere, Firenze, 1998. È un bel libro fotografico con un racconto introduttivo di Fosco Mariani e brevi scritti dello stesso Giovannetti.

note

1 Fu incisore di legno ed alcune sue opere sono rimaste nella chiesa, scrisse in forma poetica la storia della sua comunità riprendendo le testimonianze dei suoi parrocchiani che parlavano anche della presenza in loco dell’orso. C’è da aggiungere che, come molti suoi confratelli, indulgeva al piacere del buon vino. Qualcosa delle sue memorie è stato pubblicato in occasione del ripristino della chiesa.

2 L’ospitalità di don Cosimo è citata a pagina 355 della Bibbia degli escursionisti ed alpinisti delle nostre montagne: Alpi Apuane di Montagna, Nerli, Sabbadini edito dal CAI-TCI.

3 Levigliani, altra frazione del comune di Stazzema, è posta a 582 metri ed è punto di appoggio per visitare l’Antro del Corchia e le Miniere di Mercurio aperte alla visita nell’agosto 2008.

4 Unione Operaia Escursionisti Italiani è un’organizzazione fondata nel 1911 a Monza da Ettore Boschi con il motto: “Per il monte, contro l’alcool”essa si proponeva, mediante l’escursionismo, di allontanare i lavoratori dalle bettole e dal vizio. Il secondo congresso nazionale si tenne nel 1914 a Massa. Fu poi sciolta dal fascismo che non gradiva forme di associazionismo diverse dal Dopolavoro Fascista (OND) e si ricostituì dopo la guerra nel 1945. Esistono alcune sezioni apuane ed in particolare appartiene all’UOEI il rifugio La Fania appartenente alla sezione di Pietrasanta esso si trova sul sentiero 124 da Foce di Mosceta per Foce di Petrosciana, ma una deviazione non numerata porta al sentiero 122 per Pruno.

5 Fosco Maraini (Firenze 1912, Firenze 2004) etnologo, alpinista, orientalista, fotografo e scrittore, tra i suoi libri ricordiamo “Tibet segreto” (1951), Ore Giapponesi (1957), Gasherbrum IV (1960). I suoi legami con le nostre terre sono stati testimoniati dalla volontà di essere sepolto nel piccolo cimitero dell’ Alpe di S.Antonio in Garfagnana nel comune di Molazzana dove lo stesso Maraini possedeva una casa in località Pasquigliora dal 1978.

6 La Rivista è un trimestrale, Notiziario del Comune di Molazzana in Garfagnana edito dal comune ed esistente anche in edizione on-line. Lo scritto di Maraini apparve nel numero 7 (anno 3) del settembre 1990.

7 Non ho letto questo libro del quale riporto solo la recensione.

8 Citazione da Maraini, sempre dallo scritto precedente, egli si riferisce al borgo abbandonato di Campanìce (1053m) che conserva una chiesetta (oratorio di S.Giovanni Battista), che è stata restaurata, ed alcuni casolari diruti lungo il sentiero 129.