(f.f.) l’Artemisia nitida è specie molto rara, considerata a rischio di estinzione ed è anche difficile a vedersi. Vegeta in poche zone e generalmente a quote alte e questo dovrebbe limitarne i rischi da inutile e sconsiderata raccolta da parte umana, ma per la sua salvaguardia è fondamentale preservare il suo particolare habitat. Sono in corso accurati studi genetici per chiarire i dubbi che ancora esistono nella classificazione della specie.
LE ASTERACEE
Le Asteraceae (dal greco άστήρ, έρος (= fiore a stella) e dal latino acĕus che è un suffisso formativo di aggettivi di somiglianza) sono conosciute anche come Compositeae (dal latino componĕre = comporre), termine quest’ultimo ormai desueto.
Esse costituiscono la più grande famiglia vegetale divisa in un migliaio di generi per un totale di circa ventimila specie distinte. Prosperano in tutti gli habitat, possono essere erbacee o arbustive, talvolta arboree o rampicanti. Esse sono caratterizzate dall’infiorescenza a capolino. Fanno parte della famiglia piante medicinali come la camomilla, piante aromatiche come l’artemisia e l’achillea, piante usate nell’alimentazione come il carciofo, il cardo, la cicoria e l’indivia e piante ornamentali come il crisantemo la dalia ed il girasole.
IL GENERE ARTEMISIA
(Artemisia, L. 1753). Il genere fu introdotto da Linneo nel 1753. Comprende piante erbacee o suffruticose perenni conosciute per gli oli volatili che da esse si ricavano, esse crescono in luoghi aridi o incolti. Possono raggiungere un’altezza di 150 cm ed hanno foglie verdi-biancastre spesso ricoperte da peli. Producono infiorescenze a capolino di piccole dimensioni (2-5 mm) raccolti in racemi o spighe e i fiori sono tutti tubulosi. Il genere è molto vasto è comprende oltre 200 specie distinte diffuse in tutto il mondo.
Sono in corso studi genetici per meglio chiarire le parentele tra le varie specie del genere ed eventuali suddivisioni in sottogeneri.
Alcune specie sono usate a fini ornamentali, altre in medicina ed altre per produrre liquori aromatizzati (Artemisia absinthium, Artemisia abrotanum, Artemisia genipi) oppure in cucina come condimento aromatico (Artemisia dracunculus).
La maggior parte delle specie hanno aroma forte e gusto amaro per la presenza di sostanze chimiche che servono per scoraggiare gli animali erbivori da nutrirsene. Le foglie aromatiche sono medicinali, usate per insaporire i cibi, come repellente per gli insetti e in farmaci antimalarici.
L’artemisia è usata in medicina come tonico, stomachico, febbrifugo ed antielmintico.
In passato esistevano forti associazioni tra le erbe di questo genere e la dea della luna Artemide che era ritenuta possedere poteri notturni.
Il vermouth, o anche vermut, derivato dal tedesco Wermut (= assenzio) è un vino aromatizzato con erbe e droghe sciolte in alcol etilico tra le quali c’è appunto l’Artemisia absenthium. Esso fu ideato dal piemontese Antonio Benedetto Carpano nel 1786.
L'Artemisia absinthium era apprezzata sin dall’antichità per le sue proprietà terapeutiche: è antisettica, digestiva, stimolante, tonica e vermifuga. Il suo nome deriva dal greco άψίυθιον (= assenzio). Dalle foglie e dai fiori della pianta si ottiene un olio essenziale, detto absintina, di colore verdastro che con aggiunta di acqua diventa lattiginoso. L’assenzio fu usato, insieme ad altre erbe tra cui l’anice verde e il finocchio, nel XIX secolo per produrre un distillato che in minime quantità era un tonico per lo stomaco e uno stimolante, l’abuso di questo distillato portava a tutti i problemi tipici dell’alcolismo in alcuni casi accentuati a causa di adulterazioni della bevanda. La guerra all’assenzio[1], che ricordiamo era molto a buon mercato, portata avanti da produttori di liquori più costosi, portò alla sua proibizione all’inizio del 1900 e solo molto dopo essa fu ritirata. Un altro liquore a base d’ assenzio, prodotto in Svezia, è il Malört.
Un liquore prodotto in Val d’Aosta e nelle valli piemontesi e che non ha la cattiva fama dell’assenzio è il genepì. Per farlo si utilizzano diverse artemisie: Artemisia genipi, Artemisia glacialis e Artemisia pontica.
ARTEMISIA NITIDA
Artemisia nitida Bertol[2].
Sinonimi: A. lanata Willd. var. nitida (Bertol.) De Candole (1838); A. glacialis L. var. nitida (Bertol.) Fiori.
Nome volgare: assenzio lucido
Il nome generico deriva dal latino artĕmīsĭa a sua volta dal greco Άρτεμισία (= Artemisia[3] moglie di Mausolo, re di Caria) o da Άρτεμις, ιδος (= Artemide[4], per i romani Diana, figlia di Zeus e Leti, per i romani Latona, sorella di Apollo, vergine e pura, dea della caccia e della vita pastorale, divinità lunare, in seguito confusa con Ecate, dea dei bagliori notturni e dalle evocazioni infernali). Per ulteriori notizie su Artemide rimandiamo alla parte finale di questo articolo.
Ricordiamo inoltre l’aggettivo greco: Άρτεμής (= vegeto, incolume, sano, in buona salute) da cui potrebbe derivare direttamente il nome a ricordarne le proprietà medicamentose.
Il nome specifico nitido deriva dal nitĭdus (= netto, limpido, pulito) derivato dal verbo nitere risplendere. In botanica nitido significa liscio, senza peli né ghiandole e brillante e forse Bertoloni lo usò per differenziarla da specie simili molto più pelose.
Così riporta il botanico apuano Pietro Pellegrini[5]:
806 . – Artemisia lanata – Willd.
= Artemisia nitida – Bert.
= Artemisia glacialis – Vitm.
(luoghi in cui è stata osservata:) indicata nelle Alpi Apuane al Pizzo d’Uccello (Vitm., Bert.), alla Tambura sopra la loc. Bagnoli, in loc. Arboreti e alle Diacciaie (bert.).
Fiorisce in luglio e agosto. Pianta perenne erbacea.
Pellegrini cita anche: Artemisia Absinthium L. (= Absinthium vulgare Lam.) volg. Assenzio, ben diffuso nel territorio apuano. Artemisia camphorata Vill. (= Artemisia rupestris Scop., Artemisa Lobelli All., Artemisia Abrotanum Bart., Artemisia incanescens Bicch.) oggi Artemisa alba Turra e volg. Abrotano. Artemisia vulgaris L. (= Artemisia vulgaris var. vulgatissima Bass.) volg. Amarella, assenzio selvatico, erba marianna, specie assente prima del 1885 poi diffusasi da Lucca in tutta la provincia.
L’ Artemisia nitida è una specie rara e difficile a vedersi e gli osservatori possono scambiarla con il più noto genepì, specie che vive sulle Alpi occidentali e che predilige terreni acidi.
Le specie più vicine dal punto di vista sistematico sono l’ Artemisia lanata Willd., che vive nei monti dell’Europa centro-meridionale, l’ Artemisia mutellina Vill., che si trova sulle Alpi e sull’Appennino settentrionale e l’ Artemisia glacialis L., presente sulle rocce silicee delle Alpi occidentali e delle Alpi Pennine. Inoltre già Bertoloni nel 1832 riconosceva i forti legami di Artemisia nitida con il sottogenere Absinthium.
Mentre la specie alpina ha 27 cromosomi quella apuana ne ha 54 (esaploide) inoltre quella alpina si riproduce per via vegetativa mentre quella apuana ha una riproduzione sessuata oltre a una asessuata (apomittica[6]).
La tendenza di Artemisia nitida a formare stirpi locali diverse tra loro è sicuramente legata alla natura apomittica della riproduzione.
Ma questo è campo di ricerca della genetica botanica e gli studi in corso dovrebbero chiarire la complicata situazione sistematica di questa specie stabilendo i legami effettivi tra la specie apuana e quella o quelle alpine.
Endemismo
L’Artemisia nitida è presente solo in due aree nettamente distinte (areali disgiunti[7]): sulle Apuane e sulle Alpi centro-orientali dalla Valtellina fino alla Slovenia.
Si presume che le glaciazioni del quaternario abbiano distrutto le popolazioni di specie terziarie che vivevano negli areali che congiungono le due stazioni in cui la pianta vegeta oggi che sarebbero quindi areali relitti.
Specie vegetali con distribuzione analoga sono: Daphne alpina, Geranium argenteum, Horminum pyrenaicum, Moltkia suffruticosa, Potentilla nitida, Rhododendron ferrugineum, Scorzonera aristata, Silene vallesia.
Alcuni autori sostengono che la nostra specie sia di origine mediterranea penetrata nelle Alpi da sud in particolare prendendo come riferimento la Moltkia suffruticosa che ha una distribuzione abbastanza simile. Infatti la specie è relativamente diffusa sulla catena apuana mentre sulle Alpi la sua diffusione è ridotta e limitata a poche stazioni relitte.
LA PIANTA
Classificazione: Superdivisione: Spermatophyta; Divisione: Magnoliophyta (Angiospermae); Classe: Magnoliopsida; Sottoclasse: Asteridae; Ordine: Asterales; Famiglia: Asteraceae (Compositae); Genere: Artemisia; Specie: nitida.
Forma biologica: Camefita suffruticosa (simbolo: Ch suffr). Camefita (simbolo Ch): piante perenni e legnose alla base, con gemme svernanti poste ad un'altezza dal suolo tra i 2 ed i 30 cm. Suffruticosa (simbolo: suffr): le parti erbacee seccano ogni anno e rimane in vita la parte legnosa.
Descrizione: piccolo suffrutice alto da 10 a 45 centimetri. È coperto da una pelosità vellutata di color bianco-argenteo. Tutta la pianta emana un forte odore aromatico. I fusticini legnosi reptanti hanno rami fioriferi che presentano all’apice i capolini, di 2-3 mm, di colore giallo poco vistosi a formare racemi unidirezionali. Ogni capolino presenta da 15 fino a 40 fiori gialli e tubulosi. Le foglie basali sono pennatosette (= con i lembi profondamente incisi fino alla nervatura centrale e con i lobi disposti come in una penna) con lacinie lineari lunghe fino a 8 mm. Invece le altre foglie sono di dimensioni decrescenti. Il frutto è un achenio senza pappo.
Antesi: agosto-settembre
Tipo corologico: è specie endemica delle Alpi Apuane e delle Alpi Orientali, quindi ha un areale frazionato. Le stazioni apuane sono un relitto meridionale di un areale più vasto che oggi comprende le rupi calcaree delle Alpi centro-orientali dalla Valtellina fino alla Slovenia (Alpi Giulie).
Habitat: è pianta molto rara presente essenzialmente su rupi calcaree soleggiate. La troviamo sulla Roccandagia, sulla Tambura, sul Sella, sul Macina e sulle creste che li raccordano. Inoltre si trova sul Pizzo d’Uccello e sulla Pania della Croce e sulle rocce scistose (e quindi non calcaree) del Pisanino. Vegeta ad alta quota sulle vette o nelle loro vicinanze. Di rado scende nelle profonde vallate dei monti citati sopra per esempio nel Canale di Renara e sotto il Sella, fino a circa 400 metri. Colonizza le fessure tra le rupi e i detriti, a volte è presente anche in erbosi bassi e diradati. Sulle Alpi raggiunge anche 2400 metri.
Conservazione: in Toscana è classificata come VU (vulnerable = vulnerabile) cioè esposta ad alto rischio di estinzione in natura, mentre a livello mondiale è considerata specie rara. La sua conservazione dipende da mantenimento dell’integrità degli habitat rocciosi in quota. Ovviamente non deve essere danneggiata ed il fiore non deve essere colto.
nota
ARTEMIDE[8] - DIANA
La dea greca Artemide venne identificata dai romani con le dea italica Diana. Per alcune tradizioni Artemide è figlia di Demetra, ma, generalmente, è figlia di Latona e di Zeus e sorella gemella di Apollo. Artemide rimase vergine ed eternamente giovane ed era una ragazza selvaggia che amava in particolare la caccia. Veniva sempre raffigurata armata d’arco e se ne serviva spesso anche contro gli umani.
Era molto vendicativa uccise diverse persone che avevano offeso la madre, il gigante Grazione, un terribile drago e molti altri sfortunati personaggi che la avevano offesa. Le storie e i miti che la riguardano sono racconti di caccia in cui la selvaggia dea dei boschi e delle montagne ha bestie feroci come sua compagnia ordinaria.
Venne identificata anche come dea della fecondità, vedi a proposito il culto nel santuario di Efeso e come personificazione della Luna errante tra le montagne. Fu protettrice delle Amazzoni, come lei guerriere e cacciatrici.
Nel suo culto compaiono anche l’antico culto per la Dama delle Belve e antichi culti caratterizzati da sacrifici umani.
Ad Artemide si apparenta anche Ecate (Έκάτη) divinità che presiede al mondo della magia e degli incantesimi ed è legata al Regno delle Ombre. A Ecate si fa risalire l’invenzione della stregoneria ed ella sovrintendeva ai crocicchi che sono luoghi di magia per antonomasia. Qua si innalzavano statue in suo onore, con tre corpi o con tre teste, a cui si deponevano offerte propiziatorie.
Altre foto relative a questa specie, presenti su questo sito possono essere consultate qui
Attenzione: le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimentari eventualmente indicati sono a puro scopo informativo. Decliniamo pertanto ogni responsabilità sul loro uso a scopo alimentare, curativo e/o estetico.
note
1 Ricordiamo il dipinto (Dans un café, dit aussi l’Abshinte) di Edgar Degas del 1873, oggi al Museo d’Orsay a Parigi, che riassumeva il pregiudizio popolare che vedeva nei bevitori di assenzio individui abbruttiti e mentalmente disturbati. È notizia di questi giorni che il dipinto di Pablo Picasso del 1903, considerato uno dei capolavori del periodo blu, Ritratto di Angel Fernández de Soto sarà messo in vendita all’asta a Londra da Christie’s a giugno 2010 con una valutazione tra 30 e 35 milioni di euro, probabilmente destinata a superare i 40. Questo dipinto è conosciuto anche come Il bevitore di assenzio.
2 Bert. è l’abbreviazione usata per le piante descritte da Antonio Bertoloni (Sarzana 1775 – Bologna 1869). Egli si laureò in medicina e si dedicò poi alla botanica ed è considerato il più insegne botanico italiano del 1800. Scrisse una monumentale opera in 10 volumi sulla flora italiana: “Flora italica: sistens plantas in Italia et insulis circumstantibus sponte nascentes”, Masi, Bologna, 1833-1854. E in particolare scrisse opere dedicate alla flora apuana come Flora alpium Apuanarum compresa nel testo: Amoenitates italicae sistentes opuscola ad rem herbarium et zoologiam Italiae spectantia, De Nobili, Bologna, 1819 e Mantissa plantarum florae alpium Apuanarum, Da Olmo e Tiocchi, Bologna, 1833.
3 Alcuni autori sostengono che Artemisia fosse esperta di botanica e di erbe medicamentose.
4 Alcuni autori latini come Plinio e lo Pseudo Apuleio sostengono che Artemide scoprì le proprietà curative delle artemisie con l’aiuto di Chirone. E colegano queste piante lunari alla dea stessa che è, appunto, divinità lunare.
5 Pietro Pellegrini “Flora della Provincia di Apuania ossia Rassegna delle piante fanerogame indigene, inselvatichite, avventizie esotiche e di quelle largamente coltivate nel territorio di Apuania e delle crittogame vascolari e cellulari, con la indicazione dei luoghi di raccolta”, Stab. Tip. Ditta E. Medici, Massa, 1942. Il testo è stato ristampato in copia anastatica nel maggio 2009 dalla Società Editrice Apuana di Carrara per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara. Pag. 168-169.
6 Apomissia è la perdita della capacità riproduttiva sessuata.
7 Ricordiamo che gli areali disgiunti originano, col passare del tempo, specie diverse poiché le popolazioni distinte seguono vie evolutive differenziate.
8 Per ulteriori informazioni vedi: Pierre Gramal, Enciclopedia dei miti, Garzanti, Milano 1990, pag 71-73 e 178.